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poco misurata confidenza. "Noie simme gente ’e core„ dicevano i padroni di casa e soffocavano di premure e di profferte gli invitati, specialmente quelli che avevano una posizione superiore e dai quali potevano sperare qualche favore.

C’erano anche nel carnevale veglioni masquès al San Carlo e al Fondo, con i consueti intrighi e scherzi salaci. Una sera, in un veglione al Fondo, Nicola Petra in maschera, accostandosi a Vito Nunziante, tenente degli usseri, gli scaraventò sul viso queste parole: “Sette sono i peccati mortali, sette furono le piaghe d’Egitto e sette sono i fratelli Nunziante„ E uditosi rispondere che egli non avrebbe osato ripetere quelle parole a viso scoperto, il Petra si levò la maschera e ne seguì uno scambio di contumelie, una sfida e infine un duello, nel quale u Petra ferì l’avversario. Egli ebbe per padrino Cesare di Gaeta tenente di artiglieria, che poi divenne suo cognato.


Ma il ceto, che esercitava una vera influenza sopra tutte le classi sociali del Regno, era quello degli avvocati. A Napoli si nasce avvocati. L’acuta penetrazione, il vivace talento, la mutabilità delle impressioni, la facilità della favella e la passione della lite sono requisiti intrinseci delle popolazioni meridionali, onde in nessun paese della terra fu mai così numerosa la classe degli avvocati, la quale perfeziona le qualità naturali con lo studio del diritto e l’arte del cavillo. E poichè Napoli è la città dei contrasti, anche il ceto degli avvocati rappresentava questi contrasti, anzi in grado superlativo. Accanto ai sommi, per i quali il diritto era religione e passione, e l’integrità norma della vita civile, pullulava una plebe dì paglietti, loquaci e romorosi, difensori di ogni causa per amore del compenso, e per i quali era abilità mutare il bianco in nero e il giorno in notte. La facondia inesauribile era la grande arma; tutto si tentava con essa di sostenere, anzi più manifesto appariva il torto, e tanto maggiore doveva parere il valore oratorio dell’avvocato, nell’ordine morale e nel politico l’influenza dei paglietti fu perniciosa a Napoli in ogni tempo, poichè non portando essi nelle cose umane un’opinione equanime, decisa e costante, nè giudicandole nel loro insieme, ma solo fermandosi sui particolari, infiniti erano i cavilli, che, con la loro parlantina, si studiavano di mettere in opera, imbrogliando le teste e stancando la gente. Ferdinando II