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savano versi, ai quali don Raffaele Sacco, il grazioso poeta dialettale, aggiungeva barzellette e aneddoti esilaranti. Vi andavano anche i migliori artisti dei Fiorentini e del San Carlo e i più noti compositori di musica. In queste riunioni si discorreva d’arte, di storia, di letteratura; sì faceva buona musica e nell’immancabile teatrino di famiglia si rappresentavano commedie del padrone di casa, o di giovani suoi amici. Tarantini aveva simpatica cultura letteraria, vivace talento e genialità poetica; scriveva versi e drammi pregevoli ed era inoltre, col Marini Serra, il maggior lume del fôro penale. La borghesia dì secondo e terzo grado contava le sue tradizionali periodiche, e poichè in quegli anni il Trovatore aveva fatta girare la testa ai napoletani, non vi era periodica dove un qualunque tenore non cantasse:

Di quella pira l’orrendo fuoco;


e un baritono non urlasse:

È l’amore, l’amore ond’ardo;


e una qualunque signorina sentimentale e un tenorino senza voce non ripetessero, al piano, il duetto fra Manrico e Leonora. Si cantava a tutto andare l’aria del Rigoletto:

La donna è mobile,


e l’altra, non senza malizioso significato:

Questa e quella per me pari sono,


Erano immancabili, nelle periodiche, le canzoni popolari, e Santa Lucia, la Palummella janca, Scetete scè, ’U cardillo, e Fenesta ca lucive risuonavano dappertutto. Fenesta ca lucive conta forse più di un secolo di vita ed è sempre viva, perch’è la canzone di maggiore sentimentalità che abbia avuta la poesia popolare. Te voglio bene assaje, improvvisata dal Sacchi e anteriore al 1840, era morta da un pezzo, e Santa Lucia, a torto attribuita al Cottrau, in quegli anni furoreggiava. La Borghi Mamo faceva andare il pubblico in visibilio, cantandola in dia-