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natore d’Italia, e madre di Luigi, senatore, oggi, anche lui. La principessa di Frasso, nata contessa Chotek, era boema e alla elegante vaghezza univa una grande bontà. La Frasso, la Castellana, la Sant’Arpino, divorziata dopo il 1870, la marchesa di Bella e la principessa della Scaletta, nata contessa Wrbna di Vienna, dama di Corte e donna ricca dì talento e di brio, erano gli astri venuti di oltre Alpi a rifulgere nell’olimpo delle bellezze partenopee. E vanno pur ricordate la principessa di Camporeale; la contessa Porcinari, nata Santasilia, poi principessa di Piedimonte; la duchessa di Cirella; la Policastro, poi principessa di Gerace; la San Giuliano Ischitelìa; le due figlie dei principe Dentice: la marchesa di Bagnano e la contessa di Bray, maritata al ministro di Baviera e Pietroburgo, e che divenne suocera di Giulio Figaroìo di Gropello, incaricato d’affari di Sardegna.

Queste belle dame formavano l’alto mondo dei balli e dei ricevimenti, rendevano il San Carlo una festa, assistevano alle prime rappresentazioni dei Fiorentini e ai più celebri concerti musicali. Furono famosi in quegli anni i concerti di Bottesini e di Sivori. Le abitudini di allora erano su per giù quelle di oggi. Allora le signore dell’aristocrazia andavano in carrozza alla Riviera e villeggiavano la maggior parte a Portici, a Posillipo, a Castellamare e a Sorrento. Erano frequenti le gite in campagna, ma di rado queste varcavano Sorrento, Caserta, Cava, Lauro e San Paolo presso Nola. La cronaca così detta mondana non esisteva, e i nomi delle signore non apparivano mai nei giornali per nessun motivo.

L’alta borghesia della banca e del commercio aveva anche essa le sue feste e i suoi ricevimenti. Sontuose quelle di casa Meuricoffre e più di casa Sorvillo. Sorvillo era console d’Austria, e abitava con gran lusso a San Giacomo; Giorgio Meuricoffre, console generale dei Paesi Bassi ed agente della Confederazione svizzera, abitava il proprio palazzo al largo del Castello; anzi le feste di Sorvillo e i venerdì di casa Meuricoffre non avevano da invidiar nulla a quelle dell’aristocrazia; e memorabili, benché rare, furon quelle di don Girolamo Maglione, che si veniva ritirando dagli affari, dove aveva cumulata una grossa sostanza. Egli, genovese, come i Giusso, i Rocca e i Bsdarò, era stato l’arbitro del commercio dei grani nel Regno, prima che salissero in fama i Perfetti, i De Martino e i Pa-