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fossero messe a carico dell’erario e venissero indossate nelle occasioni ufficiali.
Molto era il suo prestigio. Figlio di Gaetano Filangieri; soldato di Napoleone; uccisore in duello del generale Franceschi, perchè sparlava dei napoletani; crivellato di ferite al ponte San Giorgio nella disgraziata campagna di Murat contro gli austriaci; imparentato con quanto di più alto contava la nobiltà dell’Isola, poichè la principessa di Satriano nasceva Moncada di Paternò; dotato di una inflessibile energia, di cui aveva dato prova durante la campagna: tutto concorreva ad aumentare questo prestigio. Egli seguiva fedelmente la massima napoleonica: messo a governare un paese ribelle, doveva innanzi tutto farsi temere; possibilmente, farsi amare; doveva togliere via via con la forza e col tatto, le cause, le occasioni e perfino i pretesti di ogni tentativo di rivolta. E vi riuscì. Quasi tutto il patriziato fu riconquistato alla causa dei Borboni. Le feste al Cassero ricordarono quelle di altri tempi, e fece venire da Parigi un cuoco, certo Charles, che ebbe celebrità e fu invidiato dai maggiori signori di Palermo, assai competenti in gastronomia. Si chiama Cassero il palazzo reale di Palermo.
Il Giornale di Sicilia continuò per lungo tempo a pubblicare indirizzi di fedeltà al Re e di riconoscenza al luogotenente, da parte dei municipii, in uno stile ch’è quanto si può immaginare di più caratteristico. In breve, l’antico regime fu restaurato in tutta l’Isola; e il Crispi, testimone non sospetto, dovè confessare, molti anni dopo, in un suo discorso, che la restaurazione dei Borboni fu rapida e parve un mistero.
Rimesso l’ordine, rinacque, un po’ per volta, la vita sociale coi suoi spettacoli e passatempi, profani e sacri. Si riaprì il teatro di Santa Cecilia con gli Esposti del maestro Ricci; una signora di Parigi, Eloisa Déhue, fondò un buon istituto di educazione per le signorine dell’aristocrazia e borghesia ricca; Gambina Fici, specialista di ritratti al dagherrotipo, ne fece una esposizione, che richiamò tutta la città, prima all’albergo di Sicilia, al Pizzuto, e poi nella tabaccheria del Castiglia, in via Toledo; e il duca di Caccamo, suscitando le critiche di tutta la nobiltà, faceva noto che affittava il suo casino di Mostazzola, sul quale il Meli aveva scritto questi dolcissimi versi, tant’anni prima: