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stituzionale che fu licenziato quattordici mesi dopo, per dare il posto a quel ministero ruvidamente reazionario, di cui fu presidente e anima Giustino Fortunato, e furono ministri Ferdinando Troja, fratello dì Carlo e il cognato di lui Pietro d’Urso. Strana vicenda questa di due fratelli, uno dei quali rappresentò, per quarantadue giorni, l’idea nazionale, con un re che non l’aveva, in una Corte che l’aborriva, in un Regno che non la capiva; mentre l’altro stette al governo otto anni e rappresentò, con poco illuminata coerenza, l’idea reazionaria e l’interesse dinastico, nonché la più cieca superstizione religiosa, tanto cieca che non pareva sincera.


Meno per l’autorità del suo nume e della sua dottrina, che per gli stretti legami di così influente parentela, Carlo Troja non soffrì persecuzioni, nè ebbe processi, come gli amici e i colleghi del suo ministero. Tornato alla quiete degli studii, la folla sì diradò attorno a lui, ed egli se ne doleva, perchè la conversazione era il suo unico svago e la miglior medicina ai suoi mali. Si compiaceva soprattutto di conversare coi giovani, per i quali sapeva trovare le parole più acconcie e gli argomenti più grati, rendendo il suo discorso erudito e geniale per i numerosi aneddoti, serii e faceti, che graziosamente raccontava. Una sera, tra le altre, erano in casa sua, il Manna e il Trevisani, suoi amicissimi, e il giovane Carlo Cammarota che il Troja amava, pregiandone la cultura e l’animo. Si parlava dei fatti del 1843, il Manna gli chiedeva alcune notizie di politica estera, concernenti il ministero del 3 aprile, del quale egli Manna faceva parte, e il Troja interruppe: “Ma non ricordate, don Giovanni, che la politica estera la faceva il Re, e io sapeva le notizie politiche dal Lampo?„. Il Lampo era un giornaletto popolare di allora. Frequentavano la sua casa quei pochi rimasti fedeli, ma senza gli entusiasmi di prima, alla scuola neoguelfa, che aveva nei primi e più fortunati mesi del 1848 governata l’Italia, con Balbo e Gioberti in Piemonte; con Gino Capponi, a Firenze; con Minghetti Mamiani e Rossi a Roma; con Casati e Borromeo a Milano; con Manin a Venezia, e con lui, Carlo Troja, a Napoli. Scuola politica, che non ebbe più fortuna, dopo i disastri del 1848 e il voltafaccia di Pio IX. I neoguelfi di Napoli, che s’ispiravano in Carlo Troja, riconoscen-