Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/335


— 313 —

taro, per una macchina trebbiatrice a cilindri, al principe don Augusto Ruspoli, per molini conici alla Westrup; ad Antonio Caracciolo, per la fabbricazione della carta con le corteccie dì gelso e ad altri, i quali non ebbero ricordevoli successi nel mondo industriale dell’antico Regno.

Le memorie de’ socii, pubblicate negli atti dell’Istituto in quell’epoca (1855-1859) non sono notevoli per numero, nè per importanza di studii. Francesco dei Giudice, che fu poi, dopo il 1860, segretario perpetuo dell1 Istituto stesso, scrisse su istrumenti e macchine agrarie esposte in Francia e sulla possibilità del loro uso nel Regno: vi trattava di nuovi aratri, di erpici, di seminatoi, di mietitrici, di tritapaglia e molto superficialmente, come soleva. In agricoltura Giovanni Semmola scrisse una monografia sulla varietà dei vitigni del Vesuvio e del Somma e in fatto di scienze economiche, si ebbe una sola dissertazione di Felice Santangeli. Vi furono inoltre quattro memorie su argomenti di matematiche pure, scritte da Capocci, Rinonapoli, Tucci e Battaglini. Tutto questo rappresentò il lavoro dell’Istituto di incoraggiamento nell’ultimo quinquennio. Fondato nel 1806, durante la dominazione francese, aveva anche per fine l’incoraggiamento di tutte le iniziative individuali e sociali, diretto all’incremento della pubblica ricchezza, ma le iniziative mancavano. Ne fu per alcuni anni presidente il generale Filangieri, quando era direttore generale dei corpi facoltativi. Dopo il 1848 visse una vita anemica. Vi appartenevano come socii ordinarii, onorarii e corrispondenti, scienziati illustri di ogni parte d’Italia e dell’estero, ma non diè che ben magri risultati, come si può vedere consultando i suoi atti. Ora si è riordinato con criterii moderni, e n’è a capo Niccola Miraglia, e sembra predestinato a nuova vita.


Erano frequenti anche le concessioni di fiere e di mercati. Il Regno era povero di vie di comunicazione; i bisogni del commercio sempre più insistenti, e i comuni chiedevano e facilmente ottenevano la facoltà di tener fiere o mercati, almeno una volta l’anno. Non vi era comune di mediocre importanza, che non ne avesse. Godevano celebrità le fiere di Foggia, di Barletta, di Gravina, di Salerno, di Aversa, di Caserta, di Chieti e di Atripalda. Si contrattava principalmente in bestiame, e la fiera di Foggia era il gran mercato delle lane di Puglia. I liberali ne ap-