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una signora, che si affermava sua parente, e corse voce che questa servisse da intermediaria per spillar favori. A tagliar corto su queste dicerie, carlo Filangieri lo consigliò di prender moglie; e Maniscalco sposò nel 1854 una figliuola del procuratore generale Nicastro, e del primo figliuolo, nato l’anno appresso, fu padrino il principe di Satriano, non più luogotenente. Viveva con semplicità, ed erano abitudini quasi austere le sue. Abitava un quartiere in via Abela, sulla cantonata dell’attuale via Mariano Stabile, e ancora quella piccola strada è chiamata dal popolo strada del direttore. Buon marito e buon padre, egli ebbe sei figliuoli, dei quali gli ultimi due nati nell’esilio. Mori nel maggio del 1864 a Marsiglia, non rivedendo più quella Sicilia, di cui per undici anni era stato il personaggio più temuto e odiato. Oggi si comincia ad essere giusti con lui, distinguendo l’uomo dal funzionario, e riconoscendo nel funzionario quello che avea di buono. Agli eccessi fu via via trascinato dagli avvenimenti, che incalzavano senza tregua. Assolutista rigoroso; devoto sinceramente ai Borboni; convinto che ogni tentativo rivoluzionario doveva essere represso senza misericordia; e convinto ancora che, meno pochi turbolenti, come diceva lui, le popolazioni della Sicilia non desideravano veramente che sicurezza pubblica, imposte minime, feste religiose e vita a buon mercato, egli compi il suo dovere senza venirvi mai meno. Il problema politico non lo vedeva.
Lo vedeva invece il luogotenente, cui non bastava ristabilir l’ordine, riorganizzare la polizia e tutte le amministrazioni pubbliche, rifare il Decurionato di Palermo, nominandone pretore il vecchio duca Della Verdura; dar nuovi capi alle provincie e alla magistratura, le guardie urbane ai comuni, e confermar sopraintendente agli istituti di beneficenza il vecchio duca di Terranova, benché avesse nella camera dei Pari votata e firmata la decadenza, e ne’ rispettivi loro uffici tanti altri, che avevano pur servita la rivoluzione.
Per rendere durevole il dominio dei Borboni nell’Isola, occorreva venir riconciliando al Re e alla dinastia tutta quella parte della società siciliana, che se n’era alienata per i fatti del 1848, ed occorreva farlo con garbo e senza ombra di violenza. Il ministro Giustino Fortunato aveva ideata a Napoli la famosa petizione al re per l’abolizione dello Statuto, ma al Filangieri