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è in regola„. I brigadieri di gendarmeria erano nei comuni veri tirannelli, e se il loro zelo non veniva temperato dalla onestà del giudice regio, ai soprusi non c’era freno, o si liquidavano a suon di pecunia, con la nota formula di far accettare un caffè, o con offerte di caoiccavalli e di altri frutti di dispensa, come erano chiamati in genere i prodotti del caseificio.


Scialoja non aveva detto tutto, perchè di questi e di altri aneddoti sulle industrie arcane della polizia, non vi è quasi motto nel suo scritto; ma quel che disse parve così grave al re e al governo paurosi di ogni pubblicità, da costringerli a far scendere in campo nove campioni a confutarlo, nonostante che il Canofari consigliasse di lasciar cadere in oblio il libello, com’egli lo chiamava, e assicurando che il governo piemontese non aveva avuto mano alla pubblicazione di esso, ma pur notando che non gli era dispiaciuto. Ma Ferdinando II, natura puntigliosa, e che aveva per lo Scialoja una marcata antipatia per i fatti del 1843, volle le confutazioni, le quali vennero scritte da funzionari pubblici. Monsignor Salzano, che rispose per la parte ecclesiastica, era consultore di Stato; Federico del Re, consigliere alla Corte del conti; Agostino Magliani era stato promosso nel maggio di quell’anno, da capo di sezione nella tesoreria a ufficiale di ripartimento nel ministero delle finanze, e promosso nello stesso mese Niccola Rocco a sostituto procuratore generale della Gran Corte civile. Il Del Re fu ministro dell’interno e polizia nel primo ministero costituzionale di Francesco II, dal 25 giugno al 15 luglio, e il Magliani ministro delle finanze per una diecina d’anni, dopo il non glorioso avvento del partito di sinistra al governo d’Italia, Questi furono i principali polemisti. Gli altri cinque avevano uffici più umili, anzi l’avvocato Francesco Barelli non ne aveva alcuno. Don Girolamo Scalamandrè era ufficiale di carico alle finanze ed aveva studio privato di giurisprudenza; Ciro Scotti e Alfonso Maria de Niquesa, piccoli impiegati, e don Pasquale Caruso era l’inviso rettore del collegio medico, la cui scolaresca gli si sollevò contro, come vedremo, nel 1859. Scesero in campo, armati dì rettorioa, di cavilli e di contumelie, accusando lo Scialoja di denigratore della propria patria e di malafede, e chiamandolo ignorante e ribelle, e assalendo con ingiurie il governo sardo, ritenuto