Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 252 — |
cazione del duca di Calabria. Si affermò che egli avesse carezzata nell’erede della Corona la materna tendenza ascetica, ed esagerato in lui il senso istintivo della rassegnazione, di dispregio delle pompe e di avversione alle donne, per cui Francesco II fu prima un re e poi un pretendente così diverso da tutti gli altri principi e pretendenti e... nomini della terra. Despicere terrena et amare coelestia, nel quale fu il precipuo insegnamento del padre Pompeo, gli scrupoli erano tanto inverosimili, che non si credevano sinceri, ma invece ispirati, si diceva, dal desiderio di entrare sempre di più nelle grazie del re, sul quale esercitò, senza parere, una grande influenza, riuscendo a salvare agli scolopii i due collegi di Napoli, San Carlo alle Mortelle e San Carlo all’Arena, e i collegi di Chieti, di Catanzaro, di Monteleone, di Avellino, di Maddaloni, di Campobasso, che i gesuiti volevano a qualunque costo. Egli era una potenza in Corte, e quando impazzì, si disse causa della pazzia il rimorso di avere, per conto della regina, inebetito il principe ereditario; ma se di tanto non era capace, certo i risultati della sua influenza sul principe ereditario furono nefasti. Gli scolopii, i quali ritengono il padre Pompeo Vita, morto nel 1863, per un luminare dell’Ordine loro, ne difendono la memoria, ma quando era vivo ebbero di lai più paura che affetto.
Altro uomo, altro frate, altro educatore fu il padre Borrelli. Rettore del collegio di Maddaloni quando venne chiamato a succedere al padre Pompeo, era stato professore a San Carlo delle Mortelle, dove aveva avuto, tra i suoi primi discepoli, Ruggiero Bonghi; e poi al collegio del Nazzareno a Roma. Era piccolo e tozzo, colore bruno, occhi grandi e sporgenti, punto bello, ma piacevolissimo, allegrone e uomo di mondo. Scriveva versi e portava gli occhiali. Era stato gichertiano sino al 1848, e gli era rimasta per Gioberti una costante devozione, benché, pur seguitando ad amarlo in segreto, non lo nominasse mai in pubblico. Ebbe in Corte una posizione invidiata. Ferdinando II si fidava di lui e celiava e barzellettava con lui, ma nei dovuti limiti; il duca di Calabria gli si affezionò tanto, che non dava alcun passo senza il suo consiglio; e le principesse e i piccoli principi lo amavano e scherzavano con lui, felicissimi di essersi sottratti all’incubo del padre Pompeo. Il padre Borrelli seguì i Borboni a Roma, e di lui ho molto parlato nel mio libro: Roma e lo Stato del Papa.