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Nè finirono qui gli scherzi. Un giorno che il Caracciolo era con altri amici convitato a pranzo presso una nobile famiglia napoletana, il re saputolo gli mandò un suo messo, e nel punto in cui il pranzo cominciava, fece chiamare di urgenza don Raffaele. Questi immediatamente vi accorse. Il re lo lasciò sino alla mezzanotte in anticamera, e quando uscì fuori, ridendo a crepapelle, gli disse:„Don Rafè, ai fatto ’u chiuove alla madonna„,1 e lo congedò. Un altro giorno seppe il re che la sua vittima andava con alcuni amici a Sorrento. Fece circondare la carrozza da guardie di polizia, che intimarono a tutti l’arresto per ragioni politiche. Ebbero a morirne. Gli altri vennero poco tempo dopo rilasciati, ma don Raffaele fu tenuto due giorni in custodia, e nel terzo giorno il Re gli fece dire: "Don Rafè, isciatienne, ’o re t’ha voluto grazia'„ .2 Don Raffaele questa volta perdette le staffe, e disse ai due ufficiali ch’erano andati a liberarlo: "Chisse se chiama prurito de c...„, Il re lo seppe, e il Caracciolo ne perdette la grazia.
Negli ultimi tempi gli scherzi si limitarono a risposte argute, ad osservazioni e ammonizioni offensive per chi le riceveva, ma il tipo del parassita zimbello era sparito per sempre. Gli anni e le preoccupazioni del governo avevano modificata l’indole del sovrano. Nel 1832, quando sposò Maria Cristina, aveva 22 anni ed era nella pienezza del suo spirito volgarmente bizzarro e ne faceva d’ogni specie. Andò a sposare a Veltri, e partì da Napoli il giorno 8 novembre, per terra, accompagnato dal Caprioli, suo segretario particolare e dal corriere di gabinetto Dalbono. Non volendo essere riconosciuto lungo il viaggio, si pose gli occhiali e le barbette finte, ed al confine mostrò un passaporto, nel quale era chiamato don Ferdinando Palermo, gentiluomo, che parte per un Cantone della Svizzera. Giunto a Roma, non discese al suo palazzo Farnese, ma alla locanda del Serny, in piazza di Spagna. Vi si trattenne tre giorni e visitò il Papa, e da Roma, il 14, parti per Firenze dove giunse incognito. Visitando le gallerie, v’incontrò il Granduca, che gli era cugino e l’anno dopo divenne cognato; gli si diè a conoscere, ma ne ricusò l’ospita-