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diamo giustizia, ditelo al re„. Il Settembrini, nella sua commemorazione di Carlo Poerio, afferma che principalmente per quella prima risposta il trattato fu rotto, ma il re non depose il pensiero di allontanare dal Regno coloro che temeva anche in galera; e con decreto reale commutò a sessantasei condannati politici la pena dell’ergastolo e dei ferri in esilio perpetuo in America. Un rescritto ministeriale ordinò che fossero trasportati a New-York. Erano, fra questi, Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa, Sigismondo Castromediano, Niccola Schiavoni, Michele Pironti, Niccola Nisco, Giuseppe Pica, Achille Argentino, Domenico Damis, Cesare Braico, Giuseppe Pace, e Agresti, Barilla, Placco, Faucitano, tutti condannati all’ergastolo o ai ferrida venticinque ai trenta anni, e perciò reputati i più pericolosi. Le loro vicende son note.


Tanta implacabilità verso i prigionieri politici, dopo averli fatti macerare nelle galere di Procida, di Santo Stefano, di Montefusco e di Montesarohio, e i cui tormenti sono descritti nelle Ricordanze del Settembrini e nelle Memorie del duca di Caballino, contrastava in modo inverosimile con la familiarità bonaria con cui accoglieva persone a lui devote, soprattutto se rivestite di carattere religioso. Pareva allora un altro uomo. In un giorno di estate del 1856, fu visitato a Caserta dal padre Gennaro Maria Cutinelli, della compagnia di Gesù, vecchio di ottant’anni, incaricato col padre Planas della direzione spirituale delle carceri di Napoli. Il padre Cutinelli aveva porta aperta alla reggia e il re lo accoglieva sempre con festa, gli baciava la mano e non gli negava mai nulla. Era un sant’uomo, intimo degli arcivescovi di Napoli e di Capua, confessore del ministro Murena, fondatore da poco tempo dell’istituto artistico a Sant’Aniello, dove cercava redimere col lavoro i piccoli ladri (mariuncielli), e non si occupava di politica. Vecchio e sofferente, quasi cieco, con la parrucca e la dentiera, il padre Cutinelli conduceva seco per guida un giovanetto di sedici anni, aspirante alunno al ministero delle finanze, che gli scriveva le lettere e lo assisteva amorosamente, tanto che lo chiamava il mio bastone. Aveva ottenuto dal provinciale della Compagnia il permesso di andar per le vie con quel giovane, invece che con altro padre, vietando la regola ai gesuiti di andar soli in pubblico.