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sovvenzione, ed era obbligata a sloggiare. Nessuno ardiva parlare di morti a Corte, ed ai convogli funebri era espressamente vietato di passare innanzi alla reggia, nè il re visitò mai, negli ultimi tempi, ospedali militari o civili. Dopo l’attentato e dopo il supplizio di Agesilao Milano, ebbe visioni paurose. Il cadavere del Milano fu sepolto nel cimitero di Poggioreale. Il re sognò, pochi giorni dopo, che uomini, armati di bastoni di ferro, invadessero di notte il camposanto e, recatisi sul luogo dov’era sepolto Agesilao, ne involassero la cassa e la trasportassero alla darsena per imbarcarla, passando innanzi alla reggia. E il giorno dopo rivelò il sogno e la polizia corse al cimitero, ma naturalmente trovò che nulla era avvenuto; ma si creò la leggenda circa l’involamento della salma del regicida.

I pregiudizi crescevano con le paure. Egli cercava distrarsi, occupandosi degli affari dello Stato e distraendosi coi figliuoli, ma non era tranquillo. Fosse pungolo di rimorso o sintomo della malattia, che cominciava a invadere l’organismo suo, avrebbe fatta qualunque penitenza per riacquistare la tranquillità dell’aanima. Cominciò a intendere che ottocento prigionieri politici erano davvero un grave argomento di querimonie e di proteste e forse anche di pericoli, ma soltanto sulla fine del 1858, decise disfarsi dei più pericolosi di loro. Il 10 gennaio 1857, venne concluso e sottoscritto un trattato con la confederazione Argentina, per fondare nel territorio di questa una colonia di regi sudditi, condannati detenuti politici, ai quali il re volesse commutare la pena e permettere, con le condizioni stipulate, l’emigrazione laggiù. Il governo avrebbe mandati a sue spese, in varie spedizioni, quanti prigionieri politici volesse e la repubblica, dal canto suo, avrebbe dato a ciascuno un pezzo di terra, istrumenti da coltivare e cento patacconi in danaro. Ma il trattato, benchè concluso e sottoscritto, non andò in vigore, per la ragione che interrogati i prigionieri, pochi soltanto, giovani ed animosi, risposero che per uscir di galera anderebbero dovunque, ma gli altri, i più anziani, energicamente protestarono. È rimasta celebre la risposta di Poerio: "Perchè tanta spesa, egli disse, e tanto incomodo per farci morire in America o per viaggio? lasciateci morire in galera„. Un’altra volta, lo stesso Poerio al Mirabelli, intendente di Avellino, che, recatosi a Montefusco, consigliava i prigionieri politici a chieder grazia al Re, rispose: "Noi atten-