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vivace e assai meno immaginoso. Parlava benissimo il francese, e rifaceva i siciliani nelle movenze e nel linguaggio con grande comicità. Era un principe tutto napoletano, ma a giudicarlo con i criterii di oggi, quasi re di altri tempi. A lui bastava che il mondo dicesse che le istituzioni amministrative di Napoli e le sue leggi fossero quanto era di più progredito in Europa; gl’importava poco che, in pratica, leggi e istituzioni fossero a discrezione della polizia. Le sue teorie d’immobilità assumevano una strana forma di sentimentalismo verso i poveri; il suo ideale era quello di governare con un’aristocrazia relegata fra le cariche della Corte; una borghesia impaurita e una plebe soddisfatta di aver tanto per non morirsi di fame, e che lo inneggiasse, perchè re assoluto e potente, ma familiare e popolano. Ferdinando II sentiva la superbia dell’indipendenza. Non era austriaco, come dicevano i liberali, perchè, com’è noto, non fece mai causa comune con l’Austria; anzi, morendo, raccomandò al figlio di essere neutrale nella lotta impegnata fra l’Austria, il Piemonte e la Francia. Non era italiano, perchè non aveva il sentimento nazionale, nè ambizione di conquiste o di avventure. Egli non immaginava altro Stato che il suo, e così fatto: il re responsabile dinanzi a Dio, i funzionari pubblici dinanzi al re e nessuno responsabile dinanzi al paese, il quale non aveva altro rifugio che nella cospirazione e nella rivoluzione.


Bisognava distinguere in Ferdinando II l’uomo dal Re. L’uomo non era censurabile. Ottimo marito e affettuoso padre di molta prole, temperante in tutto, non si seppe mai che egli tradisse il talamo. La calunnia, che largamente si esercitò contro di lui, lo rispettò per questa parte. Amava la sua seconda moglie, che chiamava familiarmente Teta e Tetella, e che lo rese padre di undici figliuoli. Si narrava fra gl’intimi, ma con le più paurose cautele, che il re negli ultimi anni, seccato di aver tanta prole, nè volendo separarsi di talamo dalla regina, usasse dormire ad un livello più alto, servendosi di quattro materassi, mentre la regina ne adoperava due: la qual prescrizione non impedì che nel 1867 nascesse l’undecimo figliuolo, battezzato col titolo di conte di Caltagirone, ed altri sarebbero nati, se non fosse morto due anni dopo.