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putava pennaruli pericolosi, anche perchè Scialoja, suo ministro, uno o due giorni prima del 16 maggio, gli aveva detto: V. M. ricordi i casi di Luigi Filippo. A Carlo Poerio, nel breve tempo che fu ministro, usò cortesie e quasi affettuosi riguardi. Lo chiamava Carlino, gli offriva sigari eccellenti e lo presentò alla Regina con parole molto amabili, poichè egli sapeva, all’occorrenza, essere amabile e anche adulatore; ma ne diffidava grandemente ritenendolo settario impenitente. E non fu giusto, nè umano con lui, dopo i casi del 1848, sopratutto irritato che fosse liberale un Poerio, signore e barone. Ferdinando non ammetteva che dovessero trovarsi liberali che fra spiantati, i quali amavano pescare nel torbido, o tra avvocati senza cause o tra medici senza clienti o tra architetti, che non avevano case da costruire. Erano queste le frasi, che più comunemente adoperava nel suo favorito dialetto, parlando dei liberali. Non perdonò mai a Carlo Troja la risposta datagli, quando, osservando il re essere strano che egli, inviando la flotta a Venezia, dovesse aiutare una repubblica, il primo ministro rispose: "Sire, è una repubblica più antica di tutte le dinastie presenti„ .

Quei pochi mesi di regime costituzionale furono i più tormentosi del suo Regno, dovendo egli, per necessità politica, comprimere il suo carattere. Le istituzioni liberali, degenerate subito in anarchia turbolenta e un temperamento come quello di Ferdinando II, non erano conciliabili, anzi non erano compatibili. Il temperamento di Ferdinando II mal poteva accomodarsi a un sistema, che, limitando il suo potere, tentava ogni giorno sopraffarlo. Il suo orgoglio di Re e di uomo si sentiva ferito, al solo pensiero di avere ministri non di sua fiducia, e di veder discussi i suoi atti, malignate le sue intenzioni, diffamata la sua famiglia, promossa l’insurrezione nella capitale e nelle provincie. Egli non era apatico, nè fatalista, nè remissivo alla volontà di chi gli faceva paura, nè si sentiva indifferente al bene e al male, insensibile alle passioni, superiore alle antipatie; che anzi, passioni e antipatie sentiva fortemente e non sapeva nasconderlo. Aveva volontà vigorosa e carattere estremamente vivace, e il puntiglio, come in ogni natura meridionale, poteva moltissimo in lui. Era, inoltre, impaziente, insofferente e inclinato a vedere delle cose l’aspetto men bello, e degli uomini le debolezze, più che le virtù. Nei primi tempi del 1848 credè di cavarsela con le parole e le barzellette, e alle frequenti deputa-