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convinto ed entusiasta che gli albanesi della Calabria, generosa stirpe dalla quale usci Agesilao, possano rendere grandi servigi all’Italia per una più facile e sicura penetrazione nell’Oriente europeo, oggi che la quistione delle influenze politiche nei Balcani e nell’Egeo si va accentuando, sotto forma di concessioni ferroviarie e di approdi marittimi; e lo storico collegio italo-albanese di San Demetrio Corone, trasformato in un istituto speciale diretto a tal fine, potrebbe rendere servigi assai importanti.1


Il 17 dicembre, a mezzodì, scoppiò la polveriera, posta all’estrema parte del molo militare, ne distrusse la batteria, uccise e ferì alcuni ufficiali e soldati di guardia e non lasciò intatto un vetro solo della Reggia e delle vicine case. Lo spavento della famiglia reale e di tutta Napoli fu enorme. Si affermò che la stessa setta, che aveva indotto Agesilao al regicidio, avesse fatto appiccare il fuoco alla polveriera, il cui scoppio fu invece dovuto a combustione spontanea di alcuni razzi incendiarli, che fabbricava il tenente di artiglieria Bandini, allora direttore della polveriera di Posillipo. Crebbero i sospetti, crebbero gli arresti e crebbero le espulsioni dall’esercito; ma in quella guisa che di cospirazione non si trovò traccia nell’attentato, non se ne trovò nello scoppio della polveriera, in seguito a lunga inchiesta.

Ma due settimane dopo, ai primi del nuovo anno 1857, verso la mezzanotte, mentre terminava lo spettacolo al San Carlo, saltò in aria la fregata Carlo III sul punto di salpare per la Sicilia, carica di soldati e di munizioni. Si spensero i lumi delle strade e quelli del teatro, e la paura fu generale e indescrivibile, perchè nei primi momenti non si seppe con precisione che cosa fosse successo. L’indomani si conobbe che il legno era perduto, ma non tutto l’equipaggio era perito, perchè la corvetta inglese Malacca assai si adoperò per il salvataggio. Nuove e incredibili paure suscitò il nuovo disastro. Anche qui si volle vedere la mano dei liberali e anche qui fa accertato che non vi avevano avuta parte; perchè, ripescandosi più tardi la carcassa del bastimento, si accertò che la porta di bronzo della Santa Barbara era aperta, e la chiave nella toppa: circostanza la quale provò che un tentativo di furto di polvere pirica, fatto da qualche inesperta ladrone, con candela accesa, generò la catastrofe.

  1. Vol. III, documenti.