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il rettore del collegio albanese Vincenzo Rodotà, degnissima persona e riminacciato di chiusura l’istituto, come nel 1852.1 Si creò un commissione inquisitoria per Napoli e Cosenza, con a capo il commissario De Spagnolis, fra i più zelanti. Primo pensiero fu quello di arrestare gli amici intimi del Milano, il Falcone, il Nociti, il Tocci e il Dramis, ma i primi due riuscirono a mettersi in salvo e gli episodii della loro fuga formano davvero un capitolo del quale non va perduta la memoria.

In quei tempi si riuniva nel caffè De Augelis a Toledo un gruppo di giovani liberali, quasi tutti studenti. Ricordo Cesare e Giuseppe De Martinis, di Cerignola; Tommaso Arabia di Cosenza; Giovanni d’Erchia, di Monopoli; Antonio de Santis, di Altamura; Francesco Napoli, di Baronissi e Vincenzo Cosentino, di Palmi. Erano tutti cavurriani e non vedevano salute per Napoli, che nel Piemonte e in Casa di Savoia. Quello stesso caffè era frequentato dal Nociti, amico loro, però mazziniano molto caldo, e in istretti rapporti col gruppo mazziniano di Napoli, onde fra lui e i suoi amici moderati non erano infrequenti le dispute, i dissensi e qualche volta corsero anche i pugni. Tranne il Nociti, nessuno di quelli conosceva il Milano. La sera dopo l’attentato, certo De Stefano, conterraneo e casigliano del Nociti, richiese per questo un asilo a Cesare de Martinis e all’Arabia. Il Nociti si era per un momento rifugiato in casa di un signore inglese, in via di Chiaia. L’Arabia andò a prenderlo lì, e col De Martinis lo condusse prima in casa di Francesco Napoli, e poi presso lo scaccino della chiesa della Concezione a Monte Calvario, albanese anche lui. La polizia ricercava pure il Falcone, ma anche questi si era unito al Nociti. A un tratto, la casa dello scaccino fu visitata dalla polizia, ma i due ricoverati, scavalcando i tetti, potettero rifugiarsi in casa di Vincenzo Cosentino. Però a Napoli non erano sicuri; la polizia li cercava attivamente e su entrambi pose una taglia. Fu allora che, per trovare un asilo meno pericoloso, Giovanni Marini, il De Martinis e l’Arabia si rivolsero a donna Giulia Pandola, vedova del barone Gennaro Compagna. Il Marini ero amico dell’abate Gradilone, aio delle figlie della baronessa e albanese anche lui e liberale, ma soprattutto rispettabile persona. Donna Giulia offerse il castello di casa Pandola, a Lauro, e colà i due fuggiaschi rimasero parecchi giorni. Ma

  1. Vol. III, documenti.