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la flagellazione con coraggio e spesso con aria provocante. Condannati alle legnate, tenevano stretto fra i denti un fazzoletto, per non rompere in grida strappate dal dolore. Dopo il supplizio, divenivano peggiori: la pena subita era per essi nuovo titolo di bravura. Non è quindi a maravigliarsi se, deperendo con tali punizioni il sentimento morale nell’animo del soldato, il bigottismo ed il terrore tenessero il luogo di quelle energie intime e di quell’alto sentimento dell’onore, che formano il carattere dell’uomo di guerra.


Più che una raccolta di uomini d’arme, avidi di gloria e di avventure, l’esercito poteva dirsi una raccolta di frati armati, desiderosi di quieto vivere. Le imprese contro il nemico interno li trovavano disposti a menar le mani. Nelle processioni del Corpusdomini, appena si determinava per qualunque inezia quel panico caratteristicamente napoletano, detto fuie-fuie,1 bisognava vedere con che arditezza le guardie reali si stringevano attorno al re, mentre le truppe allineate sulla via impugnavano le armi; ma andando contro il nemico, di qua o di là dalla frontiera, accadeva il contrario. Non volendo ricordare Antrodoco, nè la famosa ritirata da Roma al principio del secolo, ricordo quella più recente di Velletri, per la quale il generale Roselli scrisse nelle sue Memorie queste parole profetiche: “Il re di Napoli, facendo alle sue truppe eseguire la ritirata nel Regno, suscitava in loro un’idea d’impotenza e quindi una diffidenza nella vittoria, un disgusto e avversione per la guerra, un peggioramento nello spirito insomma„. Che se poi i soldati napoletani, tolti via di pianta da Napoli, anzi dall’Italia, venivano condotti sott’altro cielo e comandati da un capo di riconosciuto valore, si coprivano di gloria. Durante l’impero napoleonico, i napoletani che combattevano in Ispagna, vennero lodati dai marescialli Suchet e Saint Cyr; nel 1812 Murat ne condusse nella campagna di Russia diecimila, i quali fecero prodigi e nella tremenda ritirata di Mosca, Napoleone non ebbe altra scorta che di cavalieri napoletani, comandati da Roccaromana e da Piccolellis, il quale guidava i cavalli della carrozza dov’era l’Imperatore. Questi diecimila napoletani erano comandati da Flore-

  1. Fuggi, fuggi.