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mune con le bande, fu provato che indirettamente le favorì. Ma il vecchio arcivescovo si scusò col rispondere ch’egli nulla fece, perchè esautorato, perchè decrepito e perchè gravemente fiaccato in salute. Monsignor D’Acquisto si trovò nell’anno istesso coinvolto nella feroce reazione di Monreale: venne arrestato e processato. Nè l’uno nè l’altro avrebbero preveduto nel 1860 tutto questo, perchè entrambi si affrettarono a far adesione al nuovo regime, e monsignor Naselli ricevè in duomo con la consueta solennità, il dittatore Garibaldi, in occasione della festa di santa Rosalia, come il rappresentante del potere politico dell’Isola.

Garibaldi montò sol trono col capo coperto e indossava la camicia rossa: l’arcivescovo lo incensò tre volte. In sostanza, l’episcopato e il clero siciliano non morivano di tenerezza per i Borboni, nè per il Papa, anzi da Roma, per effetto del tribunale della Monarchia, si mostravano quasi indipendenti. Aiutarono la rivoluzione, ma quando ne videro le conseguenze, mercè le nuove leggi ecclesiastiche, non vi si rassegnarono. Quelle leggi furono semplicemente disastrose per la Chiesa di Sicilia, così ricca di beni e di privilegi; e i due cleri, l’uno e l’altro provenienti dalla più piccola borghesia rurale, erano affezionati alle proprie famiglie, delle quali divenivano sostegno. La insurrezione del 1866 forse li illuse circa un possibile ritorno del passato, onde l’aiutarono indirettamente e anche direttamente, come fu dimostrato, ma la paura ebbe anche la sua parte.