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privilegi che vantavano. Li fece tradurre nelle carceri di Foggia. Ma in fondo era buono e generoso, e tutte le sue entrate impiegava a vantaggio della chiesa. Rifece il seminario, chiamandovi professori egregi, ma odiava i liberali, ne volle mai interporre i suoi buoni uffici a favor loro, anzi sopravvive in Lucera una sua frase: "Li mando a Tremiti„.

Del resto, tranne pochi fanatici, i vescovi non facevano politica, benchè giurassero di rivelare all’autorità tutti coloro, che erano ritenuti pericolosi alla sicurezza dello Stato. Il padre Passaglia lesse alla Camera dei deputati nel 1863 il testo di quel giuramento, che parve quasi inverosimile, tanto era stranamente poliziesco. Sisto Riario Sforza era molto amato per il suo zelo di pastore e l’esemplare costume. Fu vero apostolo di carità nel colera del 1854 e del 1855. Cortese, generoso, uomo di governo gioviale senza volgarità e devoto ai Borboni, ma senza fanatismo. Andò due volte in esilio dopo la rivoluzione, e tornato a Napoli, non si mostrò astioso contro il nuovo regime. Era dotato di copiosa partenopea arguzia. Ricordo un aneddoto. Il municipio di Napoli ha il patronato della cappella di San Gennaro in duomo, e il sindaco è presidente della commissione, detta del Tesoro. In alcuni giorni di funzioni solenni, il sindaco si reca alla cappella, e prima sale dal cardinale arcivescovo, per andarvi insieme. Quando Guglielmo Capitelli fu sindaco di Napoli, la prima volta che andò dal Riario Sforza, per tale cerimonia, vi giunse in ritardo e, nell’inchinare il cardinale, sdrucciolò sul pavimento e stette per cadere. Riario Sforza lo sorresse con le mani che aveva bellissime, e sorridendo gli disse: “È un municipio vacillante„; e il Capitelli, pronto: “Forse, ma la Chiesa lo sorregge„. Riario Sforza mori nel 1877.

Abate di Montecassino era don Michelangelo Celesia, che più tardi fu vescovo di Patti, arcivescovo di Palermo e cardinale, e gli successe don Simplicio Pappalettere; don Onofrio Granata era abate di Cava; don Gioacchino Cestari, di Montevergine, monsignor Elia, gran priore di San Nicola di Bari, e monsignor Giandomenico Falconi, arciprete mitrato di Acquaviva e Altamura.


Ma, tra gli alti ecclesiastici, il nome che, per una serie di casi, venne più ripetuto e discusso, fu veramente quello di