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Altra parte nuova di questa edizione si riferisce alle burlesche concessioni ferroviarie, alla vita intima delle maggiori città di provincia, a tutta la vita sociale del Regno, economica, artistica, teatrale e politica; e infine allo sconfinamento delle truppe italiane al Tronto. Le due edizioni precedenti si chiudono con l’ingresso di Garibaldi a Napoli; ma se col 7 settembre finiva potenzialmente il regno dei Borboni, undici giorni dopo era sbaragliato l’esercito pontificio a Castelfidardo, e il 29 capitolava Ancona. Dal 7 settembre al plebiscito del 21 ottobre, corsero giorni ben tempestosi per le due Sicilie. Si fu alla vigilia della guerra civile, e sul punto di veder compromesso quanto la rivoluzione aveva compiuto. Frequenti e sanguinose le reazioni; ancor forte l’esercito regio, padrone delle fortezze di Capua, Gaeta, Messina e Civitella; lo Stato era sciolto; nasceva il brigantaggio, e le pavide popolazioni abruzzesi invocavano l’intervento delle truppe italiane, con Vittorie Emanuele alla testa. Non vi era dichiarazione di guerra; mancava ogni pretesto che giustificasse innanzi al mondo l’intervento armato; il plebiscito non era ancor fatto; ma Cavour, facendosi forte degli indirizzi delle popolazioni di Abruzzo e della città di Napoli al nuovo re d’Italia: indirizzi promossi dai suoi amici ed emissarii, ruppe gl’indugi e fece varcare la frontiera; onde gli Abruzzi divennero la regione storica per l’ingresso di Vittorio Emanuele, come erano state le Calabrie per il paesaggio di Garibaldi. Di quella famosa marcia, che, iniziata a Torino, si compì a Napoli il 7 novembre, vi sono ancora dei superstiti: vi