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vano niente da fare coi revisori dei libri, i quali formavano un corpo distinto ed erano quasi tutti ecclesiastici. Sette, i revisori di libri provenienti dall’estero, con sede presso la dogana; e ventuno, i revisori delle opere che si stampavano nel Regno. Fra questi, tre soli laici. Il romoroso e faceto monsignor Salzano n’era il presidente e il sacerdote don Leopoldo Ruggiero, il segretario. Il Ruggiero fu poi arcivescovo di Sorrento e morì nel 1885. Figuravano tra i componenti il canonico don Rosario Frungillo, che resse da vicario capitolare la diocesi di Napoli alla morte del cardinale Riario Sforza, ed è, credo, l’unico superstite. I tre laici erano Calandrelli, Delle Cbiaje e Placido de Luca. Il revisore presso l’officina delle poste si chiamava don Giuseppe Salvo, sacerdote. Il celebre e balbuziente don Gaetano Royer era anche prete, ma già pensionato negli anni dei quali parlo. Però restò viva per un pezzo la memoria di lui, sul cui conto se ne narravano delle belle. Nel 1848 il Mondo Vecchio e Mondo Nuovo lo chiamava don Gaetano ir e or, scomponendone il cognome; e fare l’irre e orre, nel linguaggio dialettale, vuol dire essere indeciso o esitante e, spesso, di malafede. Si ricordava fra gli altri il famoso aneddoto del "perniciotto„. Essendo il Royer revisore teatrale, doveva ogni giorno vistare il cartellone del teatro dei Fiorentini. Una sera si rappresentava una vecchia farsa, nella quale il brillante, entrando in una trattoria, domandava la carta e ordinava un "perniciotto arrosto„. Don Gaetano vistò il cartellone senza la menoma difficoltà, trattandosi di una produzione vecchia e nota; ma la sera di quel giorno, essendoglisi preparata una cena di magro, si ricordò che era venerdì e che in quella farsa il brillante domandava un cibo di grasso! Il pover’uomo prevedeva lo scandalo del pubblico, che avrebbe visto un attore sul palcoscenico mangiar di grasso in un giorno proibito! E senza perder tempo, si cacciò in testa il tricorno, corse trafelato al teatro, e varcata la porta del palcoscenico, cominciò, appena ebbe scorto l’impresario don Adamo Alberti, a balbettare più del solito, " Don don, don Adò .... do ... . don Adaàa .... pe ., .. pesce aa . . . . arro .... rosto, no ... . nocon pe . . . . perni .... niciotto arrosto„. L’Alberti capì subito e il temuto scandalo fa evitato. Ma negli anni, dei quali mi occupo, la revisione teatrale era affidata ai regi revisori della polizia, redattori del “Giornale Ufficiale„ come si è detto, e a capo dei quali era l’Anzelmi, il