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ingiuria all’indirizzo di lord Palmerston. Ciò avveniva sulla fine del 1856, dopo la rottura dei rapporti diplomatici con la Francia e l’Inghilterra. Il re voleva quindi sapere dal Torelli chi gli avesse scritta quella lettera, ed avendo questi risposto di non saperlo, ordinò che fosse mandato a San Francesco. E tornando a insistere, o l’altro seguitando a negare, ordinò che fosse tradotto in Santa Maria Apparente, dove il malcapitato, entrando, fu aggredito da un camorrista, armato di rasoio. Don Vincenzo si difese disperatamente dai colpi che gli avventava al collo l’assassino, il quale morì di morte misteriosa, pochi giorni dopo. E poichè dei due cortigiani, alla presenza dei quali il Re aveva pronunziato quelle parole e lanciata la ingiuriosa sconcezza all’indirizzo di Palmerston, uno era il Nunziante, i maggiori sospetti caddero su lui; ma nessuna prova si ha che questi avesse armata la mano dell’assassino, e l’avesse fatto morire misteriosamente due giorni dopo. Il fatta impressionò tutta Napoli, il Torelli s’ostinò a non parlare e il re, visto che tutto era inutile, lo restituì in libertà. L’Omnibus riprese le pubblicazioni, ma don Vincenzo uscì dal carcere politicamente mutato. Il suo zelo per i Borboni intiepidì di molto. Per un assassinio tentato e un altro consumato, non vi fu processo, neppure pro forma! L’autore della lettera anonima, causa di questa tragedia, si disse essere stato involontariamente don Michele Viscusi, allora detenuto in Santa Maria Apparente, ma nessuno vi credette. I maggiori sospetti si fecero sul Nunziante.


Le strenne in prosa e in versi, che ogni anno si pubblicavano, specie da alcuni giornali, erano altro campo aperto alla attività degli scrittori. Lo studio sulle strenne e sui versi, così detti di occasione, come per nozze, per monacazioni (allora molto frequenti), per onomastici, per genetliaci, per decessi, sarebbe interessante, come pur quello sulle poetesse del tempo. Brillavano tra queste Giannina Milli, Giovannina Papa, Anna Pesce, Irene Capecelatro, Adelaide Folliero, Erminia Frascani e quell’Emilia de Cesare, che fece fantasticar tanti sull’esser suo, provocò dichiarazioni d’amore e lettere di laude e ispirò la musa di Felice Bisazza, di Carlo Cammarota, di Giulio Salciti, di Luigi Cassitto e di Gaetano Bernardi, finché non si venne a sapere, e ci volle qualche anno, che sotto quel nome si nascondeva Carlo de Cesare. Sembrava strano che fosse venuta al mondo