e Pasquale Trisolini, il quale, dopo il 1860, divenne ufficiale di pubblica sicurezza. Questo giornale rappresentava un complesso di forze vigorose e, per quanto i tempi lo comportavano, discuteva liberamente di arte, di lettere e d’economia pubblica. Chiedeva ferrovie, strade, ponti, bonifiche, istituti di credito fondiario ed agrario. Sugli istituti di credito fondiario scrisse qualche pregevole articolo quel don Gaetano Bernardi che, alcuni anni dopo, si fece monaco di Montecassino e poi fu abate e direttore del collegio benedettino di Sant’Anselmo in Roma, ed è morto da qualche anno. Allora era un giovane elegante e amabile, molto ricercato nella buona società e dava private lezioni di letteratura. Amicissimo di Alfonso Casanova, fu da questi proposto al suo cognato Antonacci come aio dei figliuoli, e in casa Antonacci stette alcuni anni. Era nomo di squisito gusto letterario, ma ad un tratto fa soggiogato da forte vocazione per la vita del chiostro, e si disse esserne stata causa un’infelice passione amorosa. Molto vivace fu una polemica letteraria tra Federico Quercia e Francesco Saverio Arabia, nelle colonne del Secolo XIX, a proposito di alcuni versi di quest’ultimo, dall’altro criticati, per il che l’Arabia montò in bizza. Ma questa polemica, abbastanza vivace, non fini in duello, come l’altra fra Luigi Indelli e Cammillo Caracciolo, a proposito di un sonetto di quest’ultimo: duello ch’ebbe luogo nell’agosto del 1857 e fu argomento per qualche giorno de’ pubblici parlari. Si battettero alla sciabola, in casa di Francesco Rubino, letterato di fine gusto, che per sottrarsi alle molestie della polizia locale, si trasferì da Bari a Napoli con la famiglia, e a Napoli ebbe nome. Di lui si riparlerà ancora. In quel duello Cammillo Caracciolo rimase ferito leggermente alla mano. Egli fu assistito da Federico della Valle di Casanova, terzo fratello di Alfonso e di Cesare, partito nel 1848 per la guerra di Lombardia, e che insicuro della sua dimora a Napoli, viveva fra l’alta Italia e Benevento, città del Papa. Luigi Indelli ebbe per padrino il conte Annibale Capasso, di Benevento, guardia del corpo. La polizia non riuscì ad impedire lo scontro, e quando fu avvenuto, voleva per punizione, esiliare i combattenti a Malta e punire il Rubino. Ma Ferdinando II, assicuratosi che i due pennaruli non si erano battuti per causa politica, li lasciò tranquilli. Il Secolo XIX dava troppo nell’occhio alla polizia, per la qual cosa fu due volte sospeso. Ma a lungo andare, il prefetto Gov-