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a tre colonne, che dava ai suoi abbonati in premio un figurino colorato, o un disegno di ricamo, o un pezzo di musica.
Pubblicava una copiosa cronaca teatrale di tutta Italia; e pur chiamandosi la Moda, non si occupava di mode. Giornali di caricature propriamente dette non vi furono: caricaturisti due soli, ma valorosi, Delfico e Colonna, la oni opera era il riflesso della vita napoletana. Melchiorre Delfico portava il nome del suo grande congiunto, ed era uno dei cinque fratelli Delfico, della gloriosa e doviziosa famiglia abruzzese, che la tradizione affermava venuta da Delfo qualche secolo prima. Due suoi fratelli erano esuli per causa di libertà: Filippo a Marsiglia, e Troiano a Patrasso. Troiano è morto senatore del regno d’Italia in questo anno, onorato superstite della sua età ricca d’ideati. Melchiorre, che trovavasi in Napoli da alcuni anni, fu il grande caricaturista di quegli anni e l’amico intimo di Giuseppe Verdi, anzi fa il suo caricaturista, quando il Verdi nel 1867 tornò a Napoli per la terza volta. Quelle caricature di Verdi raffigurano il maestro in tutti i periodi ed episodi della sua vita napoletana. Sono gustosissime sotto l’agile matita del geniale artista, che con la sua vigorìa di tocchi, addirittura stupefacente, fa sfilare in comica rassegna gli amici di Verdi e i suoi seccatori. Vedi il barone Genovesi e Fiorimo; ci sono Nicola Sole e Domenico Morelli; c’è Vincenzo Torelli, Marco Arati e Mercatante; ci sono Filippo Palizzi e Giuseppina Strepponi; c’è il fido Tenore — quadrupede affettuosissimo della razza canina, cui il Verdi affibbiò questo nome per il grato ricordo dei suoi interpreti — e poi, in tutti gli atteggiamenti, in tutte le pose, da quelle tragiche dell’ira a quelle drammatiche della commozione, con una gran chioma, con un immenso testone, il Maestro: assediato dai seccatori, importunato dal musicomani, inseguito dagli ammiratori e collezionisti di autografi, nel culmine dell’ispirazione o all’apice della noia: lui, sempre lui, perseguitato dall’inesorabile Delfioo. Nè il Verdi si adontò o s’infastidì del Delfico, il cui inesorabile e signorile spirito artistico lo divertiva e gli eccitava il rarissimo riso. Ebbe per lui una costante e affettuosa amicizia, e le ultime lettere scrittegli sono dal 1891.1
- ↑ Nei numeri III e IV di Ars et Labor, la graziosa ed elegante rivista che dirige e pubblica Giulio Ricordi, c’è uno studio su Melchiorre