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guì al Congresso di Parigi, e ne fece buono e mal governo, com’egli soleva. Altra parte della corrispondenza diplomatica, e singolarmente quella della legazione di Napoli a Torino, andò distrutta per interessi e cause diverse, durante la triste baraonda, che imperversò nella reggia di Napoli e negli archivi segreti della polizia, dopo la partenza di Francesco II. E quei documenti, che il decaduto re portò a Gaeta, chiusi in parecchie casse, non si può affermare dove siano andati a finire. La legge, che impone non potersi pubblicare nulla che dopo più di mezzo secolo dagli avvenimenti, è certo di grave ostacolo alle oneste indagini storiche; nè pare che sia poi applicata con imparzialità, poichè si trova modo di farvi non infrequenti strappi.

Ho raccolto il maggior numero dei nuovi documenti in un terzo volume, perchè non mi sarebbe stato possibile inserirli tutti nella narrazione, senza toglierle efficacia e turbarne l’ordine. Alcuni sono, potrei dire, a mia difesa, a proposito di quanto scrissi circa la luogotenenza del principe di Satriano in Sicilia. Mi fu rimproverato di aver voluto offendere l’amor proprio dei siciliani, affermando che essi si sottomisero all’autorità del Filangieri, senza più resistenza, dopo la resa di Catania. Non mi sembra d’aver scritto nulla contro la verità, e ne fanno fede i numerosi indirizzi, mandati al re dai municipi dell’Isola, e più dalla maggioranza dei membri del Parlamento, appena compiuta la restaurazione; da quei medesimi deputati e pari, che pur avevano votata la decadenza della dinastia borbonica, e appartenevano alle classi dirigenti di Sicilia. Quegl’indirizzi, caduti in oblìo, è bene conoscerli nella loro caratteristica e