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meno voleva che gli fossero imposte dai subdoli intrighi del Piemonte, com’era sua convinzione.

Quegli attacchi gli giunsero inaspettati come le famose lettere di Gladstone; e se non avesse riposta una grande fiducia nell’Antonini, questi avrebbe avuto lo stesso trattamento del Castelcicala e del Fortunato, non potendosi concepire tanta negligenza da parte sua. Cercò di rifarsi quando andò a riferire il Walewski le risposte imprudenti e inconsiderate di Ferdinando II, aggiungendovi che “il re di Napoli aveva la coscienza di governare i suoi popoli conforme ai dettami della giustizia e del dovere; che nè gli assalti sfrenati della stampa quotidiana, nè lo dichiarazioni del Congresso lo indurrebbero a far mutazione di governo, disposto com’era a sopportare con rassegnazione qualunque abuso di forza, amichi scendere a patti con la rivoluzione„. Le risposte dei re furono comunicate inoltre e con poca ponderazione a tutte le legazioni napoletane, con l’incarico di rendere palesi gli intendimenti rivoluzionari di Cavour, perchè tutto si attribuiva a lui! Ferdinando non distinse, e nella furia delle sue ire non ebbe altro scopo che far intendere come, anzichè riconoscere il diritto delle potenze di cacciare il naso nelle cose del suo Regno; e piuttosto che unirsi al Piemonte, del cui doppio giuoco credeva di possedere quotidiane ed evidentissime prove, egli preferiva portar le cose agli estremi. Nè si afflisse quando i ministri di Francia e di Inghilterra lasciarono Napoli, festeggiati dai liberali. A quei ministri, per mezzo del Carata, Ferdinando II aveva tenuto lo stesso linguaggio, come si rileva da un interessante articolo di Loreto Pasqualucci, che trasse le informazioni dalla corrispondenza diplomatica del governo inglese con quello di Napoli, dal 19 maggio al 16 novembre 1866.1


Il linguaggio del re doveva montare le teste dei suoi agenti più zelanti, onde il Carini, in data 13 maggio di quell’anno, sempre riferentesi al Congresso di Parigi, scriveva queste testuali parole: “non scuserò Walewski, ma è il men cattivo della canaglia innumerevole e imprudente (sic) che compone la corte e il governo dell’imperatore, dalla cui cupa mente solo dipende la politica e ogni dettaglio della Francia„. E in un altro balordo e quasi inverosimile dispaccio del 31: “Mi sono trovato a corte. Lord Pal-

  1. Una pagina di storia nazionale. Estratto dal fasc. di dicembre 1908 della Rivista d’Italia.