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ancora inedito, e che riordina con grande cura e pari intelligenza il mio valoroso amico Raffaello Ricci, si legge:
2 novembre 1869.
Un’ultima considerazione sulla diplomazia napoletana, quale appare dai documenti che si conoscono, nonchè dai ricordi dei superstiti. Appare dunque, e con bastevole evidenza, ch’essa mirava a nascondere il sentimento della propria impotenza, dibattendosi fra uno scetticismo convenzionale, ed una certa aria fra la spavalderia e la petulanza, che faceva più male che bene. Tutto lo studio suo era di penetrare l’animo del re, e andare ai suoi versi, meno per evitargli fastidii, quanto per non incorrere nelle disgrazie di lui, che sapeva impulsivo e collerico, e che non si lasciava fermare da alcun riguardo di passato o di carriera. Quei diplomatici attenuavano le difficoltà o le giudicavano con inverosimile leggerezza, adoperando un linguaggio convenzionale, che si scorge nei loro dispacci. Sapevano Ferdinando II ossessionato da una idea fissa: le insidie del Piemonte; e perciò essi non trascuravano alcuna occasione od avvenimento anche minimo, che potesse riguardare il Piemonte, per gettar luce sinistra sopra la sua politica, screditandola e facendola segno di ogni volgare sospetto.
Dal carteggio del marchese Antonini ancora inedito, ed esistente nel grande archivio di stato di Napoli, si rileva come te una lettera del 24 novembre 1866 quel diplomatico scrive-