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sino quando fu nominato ministro degli esteri nel ministero costituzionale di Francesco II. Giacomo de Martino, che i suoi amici chiamavano Giacometto, aveva fin d’allora fama di scaltro e d’irrequieto, e il re non aveva molta simpatia per lui, benchè gli avesse reso buoni servizii nella quistione degli zolfi. Il De Martino era allora nella carriera consolare.
Il principe di Carini dipingeva discretamente, ma non godeva alcun credito come diplomatico; scriveva dei rapporti in un linguaggio da caffè, come si vedrà più innanzi, ed aveva in moglie una figlia del generale Kellermann, signora di molto garbo. I diplomatici napoletani, privi di autorità e di ogni iniziativa, si sfogavano in lettere intime con persone di fiducia, o quando andavano in permesso a Napoli. "Sono anni che prego, che insisto, che prevedo, che guardo attentamente l’avvenire, scriveva il Petrulla al Versaoe, ma non si è creduto darmi ascolto; speriamo che mi sono ingannato e che m’inganno ancora adesso„. Paolo Versace, uffiziale di ripartimento al ministero degli esteri, e più volte adoperato in missioni diplomatiche, aveva fama di negoziatore avveduto, ma i malevoli, facendo dello spirito, lo chiamavano versatile. A lui scriveva pare il Petrulla, nell’ottobre del 1856: “ricordiamoci che noi siamo soli, e che nessuno ci aiuterà„, mentre il Milano, noto per la sua inettitudine, aveva per intercalare: Sono occupatissimo e non posso dir nulla; così come un altro suo collega, assumendo un’aria comica di mistero, diceva: io taccio na cosa, ma no a posso dì:1 un misto di drammatico e di faceto. A Ferdinando II bastava che i suoi diplomatici eseguissero senza discutere i suoi ordini. E poi aveva degli apriorismi curiosi. Era persuaso che, nonostante la rottura dei rapporti con la Francia e l’Inghilterra, non potesse mancargli l’appoggio della prima, per paralizzare le influenze inglesi nel Regno, e lo fece dire a Napoleone dai due delegati che mandò a Parigi, dopo l’attentato di Orsini, e che furono il principe di Ottajano e il Versace stesso, che condussero come segretario Eugenio Bonquai, già ufficiale di cavalleria, e ufficiale nel ministero degli esteri, ritenuto il più capace fra i segretarii di quel ministero. Ad essi il re diè istruzioni categoriche in questo senso, anzi le dettò egli al Versace, in Gaeta, la sera del 23 gennaio 1858. Infatuato
- ↑ Io so una cosa, ma non posso dirla.