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le, erano amori, promesse, giuramenti, scene clamorose di gelosia, e . . . . frittata finale. Lo studente, tornando in provincia, narrava con compiacenza i suoi amori di Napoli, e quasi sempre esagerava, lasciando credere più di quanto realmente fosse. Molte volte c’entravano la polizia e il curato, e allora la faccenda finiva con un matrimonio imposto, o con quattrini pagati a titolo .... d’indennizzo.


Anche ai miei tempi, studente era per i napoletani qualità dispregiativa e voleva dire zotico, sfrontato, spiantato, arruzzuto. Gli studenti, in genere, erano detti calavrisi, perchè, cosa davvero strana, i provinciali meno riducibili e più temuti dalla polizia, erano, non i pugliesi o gli abruzzesi, ma quelli di Calabria, anche perché meno atti a rifarsi nelle apparenze e nelle abitudini, al contrario dei pugliesi, per i quali, appena giunti a Napoli, il sarto e il barbiere erano la principal cura. Gli studenti più poveri, e ve n’erano di quelli che ricevevano dalle famiglie non più di sette o otto ducati al mese, pranzavano in piccole osterie della vecchia Napoli, con pochi grani al giorno. Era celebre, e tuttora esiste, l’osteria di monzù Testa, in via dei Tribunali. E vi erano bettole ancora più economiche, dove la sera si poteva sfamarsi con pizze, castagne e olive. Oggi uno studente non costa alla sua famiglia meno di centocinquanta lire al mese; ha la sua camera mobiliata, pranza al restaurant o alla pensione, ed è generalmente un politicante fastidioso, il quale non ha paura di nessuno, essendo convinto che con la violenza e l’appoggio del deputato, riesce a bucare leggi e regolamenti scolastici. Allora, ruvidi e poveri, avevano elevate idealità, che li rendevano simpatici, nè a torto la polizia li temeva; oggi, coi loro eccessi calcolati e le tendenze realistiche, delle quali menano vanto, riescono, tutto compreso, un tipo antipatico. A11ora riportavano da Napoli la goffaggine partenopea del dialetto e degli scherzi; oggi vi aggiungono le perfezionate trappolerie elettorali, le ambizioncelle precoci e le amicizie coi peggiori politicanti partenopei.

L’autorità vedeva di mal occhio l’agglomerarsi degli studenti in Napoli, e perciò non erano tollerati che quelli già muniti della licenza professionale, che si otteneva nei licei di provincia. A Napoli bisognava rimanere il tempo strettamente necessario per dare gli esami di laurea; anzi non si rilasciavano paa-