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Fa attribuito ai mazziniani lo scoppio del Carlo III e della polveriera alla darsena nel 1857, ma la polizia non raccolse alcuna prova, non ostante che ricorresse a misure odiose, nè dopo il 1860 sorgesse alcuno a farsi merito di quei fatti e a chiederne compenso. Per quanto le cospirazioni politiche fossero inconcludenti e i due avvenimenti ricordati non fossero effetto di opera settaria, si cospirava; le relazioni fra i liberali e i condannati chiusi a Santo Stefano, a Procida e a Montesarchio con gli emigrati in Piemonte non furono mai interrotte; e nonostante la ridicola sorveglianza sui libri proibiti, questi, con mille astuzie, entravano nel Regno. Se alcuni capi della polizia non si vendevano, gli agenti minori erano però uno sciame di ladroni, e perciò lo zelo dei capi perdeva efficacia, sempre che, per tradursi in atto, occorreva l’opera dei subalterni.
Anche sulla polizia borbonica si fece il romanzo. Come emanazione di governo assoluto, che aveva paura dell’ombra sua, in un paese eccitabile e ciarliero, nel quale le classi infime erano abbandonate ai loro peggiori istinti, e le classi dirigenti, poche eccezioni a parte, erano presso che prive di vero equilibrio morale; e con a capo un re, come Ferdinando II, bizzarra contraddizione di paura e di coraggio, di tristizia e di bonarietà, napoletano in tutta l’estensione della parola, la polizia concorreva a peggiorare l’ambiente, dal quale era essa medesima resa più triste e corrotta.
C’era poi un commissariato di polizia addetto al ministero, avente a capo il Maddaloni, che aveva grado, soldo ed onori di giudice di Gran Corte civile. Senza tener conto dei bassi agenti, detti feroci, la città di Napoli contava essa sola, in quegli anni, più di dugento fra commissarii, ispettori, vice-ispettori e cancellieri, non calcolando gl’impiegati del ministero e della prefettura, nè gli agenti dei tre circondarli. Antonio Scialoja, confrontando i bilanci napoletani coi piemontesi, rilevò che, nonostante le cifre minori iscritte in bilancio, la polizia della sola città di Napoli e casali costava all’erario circa centomila ducati, somma ben considerevole allora; nè alcuno dei tanti, che scesero in campo a confutarlo, potè mettere in dubbio l’esattezza di tale affermazione. Naturalmente, nei centomila ducati erano comprese le così dette spese segrete per lo spionaggio in ogni classe sociale, specie nella borghesia e fra gli studenti.