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privo di tatto, senza l’ombra d’iniziativa: esecutore puro e semplice della volontà del sovrano. Aveva una visione corta e tutta municipale della politica e apparteneva alla nobile stirpe dei Carafa. Il ramo suo era quello dei Traetto, per distinguerlo dai Carafa di Noja e dai Carafa d’Andria. Suo fratello Domenico era arcivescovo di Benevento e cardinale. Pietro d’Urso fu ministro delle finanze sino al 1856, nei quale anno, attaccato prima dal colera morì, poi di accidente, e gli successe Salvatore Murena, l’anno dopo. Il maresciallo principe d’Ischitella era ministro della guerra e marina; Giovanni Cassisi, degli affari di Sicilia e il brigadiere Raffaele Carrascosa era anch’egli ministro senza portafoglio. Gli altri dicasteri non avevano ministri, ma direttori con referenda e firma, i quali, secondo il sovrano regolamento del 4 giugno 1822, facevano parte del Consiglio dei ministri e del Consiglio di Stato. Erano direttori: Murena, dei lavori pubblici; Scorza, degli affari ecclesiastici e dell’istruzione pubblica; Mazza, della polizia generale; Pionati, di grazia e giustizia e Bianchini, dell’interno. I pochi ministri titolari erano distinti fra ministri con cartiera e ministri senza cartiera. Cosi il Troja e il Carrascosa, non avendo portafoglio, non avevano cartiera e Carafa era dispensato dal dovere di riferire e conferire in Consiglio di ministri, sulla politica e sulla corrispondenza diplomatica, dovendo solo renderne conto personalmente al sovrano. Anche al ministro di polizia era concessa questa esenzione, ma per quei casi soltanto, nei quali era necessario conservarsi il segreto con gli stessi ministri segretari di Stato. Solo col presidente del Consiglio il ministro di polizia non doveva aver segreti. In questo Consiglio si preparavano tutti gli affari che avevano bisogno della sovrana risoluzione; e poichè non vi era quasi affare che di tale risoluzione non avesse bisogno, ne seguiva che si trattavano le cose più piccine ed inconcludenti, come, ad esempio, la istituzione di una fiera o la promozione di classe di un pretore, che si chiamava "giudice regio„, od altre simili quisquilie. La sovrana risoluzione era data dal re in Consiglio di Stato, che era il consiglio dei ministri, preseduto da lui; e, in sua assenza, dal principe ereditario che ne faceva parte. Ma i Consigli erano, tranne rari casi, preseduti sempre dal re, che li convocava ordinariamente a Caserta; di rado a Napoli, dove stette poco negli ultimi anni; spesso a Gaeta; e, qualche volta, ad Ischia o a Portici.