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Ogni legame fu infranto, un abbisso fu scavato fra noi, non sono più tuo, vattene e lasciami morire in pace giacchè fosti senza pietà nella tua abbominevole vendetta!

La greca lo guardò con ispavento e sentì mancarsi le forze dinanzi all’accusa che era mille miglia lontana dall’aspettarsi. Come mai l’arabo sapeva che era stato cacciato in quell’orrido sotterraneo per vendetta che egli attribuiva a lei? Era un semplice sospetto oppure qualche spia gli aveva comunicato qualche cosa? Elenka si chiese per la seconda volta se sognasse.

— Abd-el-Kerim, diss’ella facendo uno sforzo straordinario per dominare il suo sgomento. Tu mi accusi a torto te lo giuro. Io veniva a questa volta per recarmi al campo d’Hossanieh colla speranza di trovarti e di riannodare l’amore che in un momento di follia spezzasti. Un beduino mi narrò come passando di qui avesse udito dei gemiti e m’affrettai a discendere. Vengo a liberarti non per vendicarmi.

— Taci, Elenka, taci, disse l’arabo con impeto selvaggio.

— Abd-el-Kerim, ti prego, ritorna in te, allontana questi sospetti che per me sono altrettanti pugnali che mi straziano il cuore.

L’arabo la guardò torvamente, poi le si avvicinò e afferrandola bruscamente per le braccia la scosse con furore.

— Ero là, diss’egli, che attendeva la morte, quando udii il bandito che mi cacciò quaggiù gridare: Olà, ecco Elenka!.... Aveva una benda agli occhi, ma in quel momento mi cadde: compresi tutto, tutto!...

Elenka gettò un grido d’angoscia. L’arabo con una violenta spinta la mandò a cadere sulle ginocchia, presso la porta.

— Sciagurata! esclamò egli con profondo disprezzo.

Nel sotterraneo regnò un lungo silenzio rotto solo dall’affannoso respirar della greca e dal monotono rumore delle goccie d’acqua che battevano sulla viva roccia.