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pipistrelli che svolazzavano mandando strida di spavento all’apparire di quella improvvisa luce, poi scorse in un angolo, sdraiato a terra, colla testa fra le mani, l’Arabo Abd-el-Kerim. Tutta la sua collera che ancora rimanevagli in fondo al cuore svanì come la nebbia al sole: una profonda compassione generata dall’immenso amore che nutriva ancora pel traditore, la prese e rimase ritta sulla porta senz’essere capace di dir verbo.
— Chi è l’assassino che viene ad assistere alla mia agonia? chiese con voce rauca l’arabo fissando due occhi stravolti su Elenka.
Quella voce ferì il cuore di Elenka.
— Abd-el-Kerim, diss’ella.
— Chi mi chiama? Chi mi cerca quaggiù in questa tomba? continuò l’arabo con trasporto feroce che la eco rendeva doppiamente cupo.
— Non mi riconosci più adunque?
Vi rispose un brontolìo lungo simile a quello di una belva irritata.
— Guardami in volto, Abd-el-Kerim, guardami bene.
— Chi sei? domandò l’arabo facendo uno sforzo per alzarsi.
— Elenka, la tua fidanzata, che viene a salvarti.
— Tu!... Tu!... ruggì l’arabo con indefinibile accento d’odio.
S’aggrappò ai muri come un pazzo, si alzò, si spinse innanzi barcollando, poi retrocesse come se avesse visto una spaventevole apparizione.
— Ah! esclamò egli ironicamente. Sei tu, Elenka, la bella e buona Elenka che diceva di amarmi tanto e che mi fece cacciare in quest’orrida tomba perchè morissi di fame e di gelosia. Vattene orribile creatura, vattene!....
Elenka s’appoggiò al muro e lo guardò con occhio smarrito per qualche istante.
— Sei pazzo, Abd-el-Kerim, disse di poi con voce che tremava.
— Che vuoi da me, esecrabile donna, che vuoi?