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con maggior violenza e vaghi timori l’agitavano. Si avrebbe detto che aveva paura di trovarsi di fronte al fidanzato, al traditore, là, sotto quelle cupe ed umide vôlte e in presenza di due selvaggi, e guardava con orrore il fondo del corridoio e le umide pareti sulle quali strisciavano con un ronzìo lugubre migliaia di scorpioni grigi, di vermi, di lucertole e di spaventevoli tarantole. Le pareva di essere in preda ad uno spaventevole sogno.

— Gran Dio! andava mormorando. Così terribilmente l’odiava Notis per seppellirlo in quest’orrida tomba?

D’un tratto uno dei dongolesi s’arrestò e si volse verso di lei con un crudele sorriso sulle labbra.

— Udite? chiese con una voce che l’eco rendeva sepolcrale.

Elenka rabbrividì e tese l’orecchio. Dal fondo del corridoio venivano dei gemiti interrotti, dei mormorii vaghi che andavano man mano crescendo per poi morire improvvisamente come se colui che li avesse emessi fosse d’un sol colpo morto.

— Chi è? chiese ella spaventata.

— Il prigioniero che muore di fame, rispose il dongolese.

— Miserabili!...

— Il greco così ha voluto.

— Tira innanzi, disse Elenka con aria minacciosa.

I dongolesi ubbidirono e poco dopo si arrestavano dinanzi alla porticina ferrata sulla quale scorgevansi delle sculture rappresentanti degli ibis, uccelli tenuti per sacri dagli antichi Egizi e Nubi cui dedicavano spesso dei templi. Elenka tremò tutta nell’udire i lamenti e le sorde imprecazioni dello sventurato Abd-el-Kerim, che contorcevasi fra gli spasimi della fame.

La porta venne con gran fatica aperta. Ella strappò una torcia dalle mani dei dongolesi, fe’ a loro cenno di aspettarla all’uscita del corridoio ed entrò risolutamente nel sotterraneo umido e freddo.

In sulle prime non fu capace di vedere che dei