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La greca s’alzò come una iena furibonda, e le sue mani si chiusero come se avessero voluto stritolare qualche cosa. Chiuse gli occhi e li riaprì più scintillanti di prima fissando in istrana guisa Notis:

— Io soffoco dall’ira e muoio di sete, ma ho sete di sangue, diss’ella con selvaggio trasporto. Dimmi dov’è questa mia rivale, ond’io vada a strapparle il cuore colle mie unghie; dimmi dove posso vederla. Mi sentirei capace di avvelenarla col solo mio sguardo!

Calma, Elenka, disse Notis. In queste faccende bisogna essere freddi.

Nelle mie ire non so dominarmi, tu lo sai, Notis. Sono quattro giorni che ho il cuore straziato da una terribile gelosia, sono quattro giorni che mi sento presa da una smania feroce di uccidere o di essere uccisa. Dammi questa rivale e tu mi vedrai diventare più crudele della iena, la più sanguinaria che sia vissuta nei deserti dell’Africa.

— E Abd-el-Kerim, l’hai dimenticato?

— Abd-el-Kerim! esclamò Elenka con aria cupa.

— Che faresti di questo traditore se lo avessi in tua mano?

Non lo so... Dove si trova egli?

— In un posto sicuro.

Elenka lo guardò con sorpresa.

— È forse vicino? domandò con viva emozione.

— Sta sotto i nostri piedi.

— Morto forse!... esclamò ella, dando indietro, spaventata. Notis!...

— Non ancora.

— Dov’è, dimmi Notis, dov’è?

— Chiuso in un sotterraneo.

— Conducimi da lui, voglio vederlo! disse Elenka, scattando in piedi.

Notis si mise a ridere, lisciandosi tranquillamente la nera barba.

— L’ameresti ancora? domandò egli beffardamente.

— Non so se l’odio o lo ami, so solamente che voglio trovarmi dinanzi a lui per dirgli che la sua rivale la calpesterò, la farò a brani, la polverizzerò come fosse di creta.