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— Aiuto!... Aiuto! urlò egli con voce semi-spenta.

L’eco del sotterraneo solo rispose alla disperata invocazione. Egli si mise a correre all’intorno come un pazzo, urlando e bestemmiando, chiamando Fathma che ormai credeva perduta, incespicando ad ogni istante, cadendo e risollevandosi. Trovò la porta, vi cozzò furiosamente contro cercando di scassinarla, ma non riuscì nemmeno a scuoterla. I capelli gli si rizzarono sulla fronte, la disperazione lo prese e per un istante gli balenò in mente l’idea d’infrangersi il capo contro le pareti.

— Aiuto! Aiuto, Fathma! urlò ancora lo sventurato.

Retrocesse barcollando come un ubbriaco e tese gli orecchi. Al di fuori tuoneggiava fortemente e s’udiva il vento urlare nel corridoio; un tuffo impetuoso d’aria umida giunse fino a lui.

— Dove sono? si chiese egli con una voce che più nulla aveva d’umano. Che è successo? Perchè mi han rapito? Dov’è Fathma, la mia povera fidanzata, la mia disgraziata almea? Sono in preda forse ad un terribile incubo?...

Si stropicciò gli occhi, e si persuase d’essere proprio sveglio e prigioniero in quell’orrido sotterraneo. Allora si risovvenne delle parole dettegli dallo sceicco Fit Debbeud.

— Dio!... Dio!... esclamò egli con profondo terrore. Sarebbe mai possibile che quell’uomo fosse mio rivale? Sarebbe mai possibile che egli avesse a rapirla deludendo la sorveglianza di Hassarn?... Fathma! Fathma!... che farò io abbandonato in questa spaventevole prigione, senza speranza d’aprirmi un varco, senza un’arme per tentare la fuga, solo, isolato nel mezzo delle foreste del Bahr-el-Abiad?... Ho paura, ho paura, io divento pazzo!...

Due lagrime gli solcarono le brune gote; si lasciò cadere a terra, nascose la faccia fra le mani e pianse. Le ore passarono lente, lente, ma nessun uomo scese nel sotterraneo, nè alcun rumore s’udì fuorchè gli urli della tempesta che continuava a imperversare.