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— Si vede che tu conosci bene gli uomini. Non ti sei ingannato qualificandomi per un bandito.
Abd-el-Kerim lo guardò sorpreso.
— Ma che vuoi fare di me? Perchè mi hai rapito? Che ti ho fatto io per cacciarmi in quest’inferno? Chi te l’ordinò? Chiese con ira concentrata.
— Non credeva che un uomo par tuo si sentisse in vena di parlar tanto. Meglio così; noi discorreremo come vecchi amici.
Impiantò la torcia in terra, si sedette su di un mucchio di rottami, trasse di saccoccia il suo scibuk, lo riempì e accesolo aspirò tre o quattro boccate di fumo con una flemma che avrebbe fatto invidia ad un Inglese.
— Tu mi chiedevi il perchè ti seppellii in quest’inferno, diss’egli, calcando su ogni parola. Se vuoi che te lo dica schiettamente, una donna è la causa di tutte le tue disgrazie.
Abd-el-Kerim indietreggiò fino al muro e sentì un freddo sudore imperlargli la fronte. Un timore, un presentimento sinistro l’assalì.
— Una donna!... balbettò. Una donna!
— Conosci tu un’almea che si chiama Fathma?
— Fathma! Fathma tu hai detto? Che vuol dire? Per Allàh, tu mi schianti l’anima!...
— È proprio per schiantarti l’anima che io sono sceso in quest’inferno, disse beffardamente lo sceicco.
— Ah! sciagurato! urlò il povero arabo facendo atto di saltargli addosso.
— Non muoverti, per mille saette! gli intimò lo sceicco ripigliando il pistolone con gesto minaccioso. Sta in guardia, ti ripeto.
Abd-el-Kerim si cacciò disperatamente le mani nei capelli e mugghiò come un toro.
— Ma che ti feci io, assassino? che vuoi da me? chiese.
— Odimi, ma non muoverti, se vuoi che ci lasciamo da buoni amici. Io sono lo sceicco Fit Debbeud ed amo alla follìa la donna che tu ami.
— Chi?... Fathma?...