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duecento passi d’Hossanieh, dove fecero alto fra due colline abbastanza elevate per nasconderli.

Fit Debbeud fece legare i mahari in cerchio obbligandoli a inginocchiarsi, pose due uomini di guardia accanto ad essi, e col rimanente della banda si spinse fino nei dintorni del campo egiziano e precisamente dietro ad un macchione d’acacie gommifere, dove potevansi imboscare e saltare addosso ad Abd-el-Kerim appena che fosse vicino.

— Silenzio, disse lo sceicco, chiamando attorno a sè i suoi uomini, e state ad ascoltare quanto vi dico. Io mi reco al campo egiziano, poichè occorre un uomo astuto e coraggioso per tentare l’impresa e saperla condurre a buon fine senza destare sospetti. Vado a prendere l’arabo, lo conduco fuori del campo e mi dirigo da questa parte; al primo fischio che io mando, tutti adosso e poi via di trotto verso i mahari, Ricordatevi che qui si giuoca la pelle.

— Sta bene, risposero in coro i banditi.

— E gli Egiziani? chiese uno di essi. Sono distanti appena ottocento passi.

Fit Debbeud alzò le spalle e un sorriso sprezzante sfiorò le sue labbra.

— Gli Egiziani non si muoveranno, ve lo dico io, diss’egli. Urleranno come cani, ma non ardiranno inseguire Fit Debbeud e i suoi beduini.

Si sbarazzò del coftan e dell’archibuso, armò le pistole che si passò nella cintola, si assicurò se l’jatagan scorreva nella guaina e marciò dritto verso gli avamposti egiziani che bivaccavano al chiarore dei fuochi a gran pena tenuti accesi.

— Chi va là? gridò una sentinella prendendolo di mira.

— Getta abbasso il tuo fucile che mi reco dal tenente Abd-el-Kerim, rispose il bandito. Anzi conducimi alla sua tenda se non vuoi che Dhafar pascià ti faccia accarezzare le spalle col corbach (staffile di pelle d’ippopotamo).

Ad un fischio della sentinella un soldato accorse e il bandito fu fatto entrare nel campo e accompagnato verso la tenda dell’arabo.