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— Per quanto lo cercassi non potei vederlo ma suppongo che si trovasse nella tenda di Dhafar pascià.

— Sia bene, ora faremo i nostri piani per colpirli proprio in mezzo al cuore tutti quanti.

Stette un momento silenzioso immergendosi in tristi pensieri, poi, fattosi versare un bicchiere di bilbel, specie di birra fatta con maiz e dòkòn, di sapore dolcigno, e tracannatala, s’alzò, piantandosi dinanzi al nubiano.

— Takir, disse con voce grave. Se tu fosti nei miei panni che faresti?

— Assassinerei tutti e tre quei miserabili, rispose il negro senza esitare.

— Sarebbe una vendetta troppo dolce, eppoi, bisogna che serbi Fathma per me ed Abd-el-Kerim per mia sorella.

— Allora che fare? È una gran disgrazia che vi siate innamorato di quell’altera almea.

— Taci, Takir; io l’amo alla follia, l’amo furiosamente. È tanto bella e tanto giovane che sarebbe un peccato farla morire. Ma non credere che l’ami solamente, no, ira di Dio! L’amo tremendamente, ma nel medesimo tempo l’odio ferocemente.

— E dunque che volete fare?

— Innanzi a tutto bisogna che abbia in mano uno dei due, meglio se avrò prima Abd-el-Kerim.

— Abd-el-Kerim! esclamò Takir sorpreso. E per che farne?

— Una volta in mia mano penseremo a strappargli quella passione che ha per Fathma e a gettarlo nelle braccia di mia sorella. Coi tormenti a tutto si riesce.

— Si capisce che volete tormentarlo per bene.

— Sì, e terribilmente. Odimi ora, Takir.

Tornò a sedersi, vuotò la fiaschetta del bilbel, e facendo cenno al nubiano di avvicinarglisi:

— Tu comprendi, che senza aiuti sarà difficilissimo se non impossibile, d’impadronirsi di Abd-el-Kerim. Conosci tu qualche hossanieh poco scrupoloso che si possa comperare con un bel pugno d’oro?