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— Non toccarmi! gli disse cupamente. Se tu muovi un passo verso di me, ti assassino!

Il greco si mise a sogghignare, ma non s’avanzò nè toccò le sue armi. Egli girò lo sguardo attorno, tese per alcuni istanti l’orecchio, poi accostò le mani alle labbra e mandò un acuto fischio. Un fischio eguale vi rispose quasi subito.

— A noi due, ora, Fathma, disse poi. Per quanto tu sii forte e per quanta resistenza opporrai, Takir ti porterà via.

— Vigliacco!

— Io ti amo e voglio farti mia.

— Miserabile, io ti abborro!

— E io ti amo. Avanti Takir!

L’almea faceva un salto da invidiare un leone e tentò fuggire, ma un negro di statura colossale, l’ordinanza di Notis, sbucando improvvisamente dai cespugli vicini, le sbarrò la via. Ella gettò un urlo di rabbia e indietreggiò fino al tronco di un palmizio col pugnale alzato.

— Addosso Takir, gridò il greco, facendosi innanzi colla scimitarra in mano.

Il nubiano s’aggrappò all’estremità d’un ramo di tamarindo, si sollevò in aria con una spinta e venne a cadere addosso a Fathma prima che questa avesse tempo di evitarlo. Egli l’afferrò fra le vigorose braccia alzandola da terra.

— Sta cheta, mugghiò egli stringendola così fortemente da farle crocchiar le ossa.

— Aiuto! a me Abd-el-Kerim! urlò la povera almea, dibattendosi disperatamente.

Ella cacciò il pugnale in un braccio del negro che si coprì tosto di sangue, ma Notis le afferrò i polsi e glieli torse tanto da farle abbandonar l’arma. I due uomini si misero a trascinarla verso il folto della foresta.

L’almea gettò un secondo grido, un grido di furore e di dolore.

— Lasciatemi maledetti! Aiuto! Aiuto!

Si udì un calpestio precipitato, un fragor di scia-