Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
48 |
— Io l’odio quest’uomo, lo esecro!
— Hai torto Abd-el-Kerim. Quest’uomo che tu esecri è il vendicatore degli Arabi che languono sotto il giogo e la sferza dei Turchi ed infedeli.
— Ma come tu l’hai abbandonato? Come tu sei qui? Qual capriccio ti spinse a lasciare El-Obeid per venire in queste terre?
— L’amore, rispose Fathma con aria tetra.
— Ah! tu hai amato un altro uomo adunque? chiese l’arabo.
— Sì, un uomo bello e prode come te, che mi giurò eterno amore e che mi trasse sulle rive del Bahr-el-Abiad per poi abbandonarmi.
— Ma io lo odio questo tuo secondo amante e più ancora del Mahdi. Io ho sete del mio sangue nè tornerò tranquillo fino a che non l’avrò ucciso. Voglio vendicarti!
— È inutile, mio eroico amico. Egli cadde morto l’anno scorso nella battaglia di Kadir, pugnando contro Yussif pascià. Il Profeta mi vendicò.
— Ed ora?... chiese Abd-el-Kerim con angoscia.
— Sono libera come l’aquila che vola negli spazi del cielo.
— Tu puoi adunque accogliere nel tuo cuore un nuovo amore, una passione grande, gigantesca, che non si spegnerà che colla morte. Ah! se tu lo volessi Fathma!
— Non tentarmi, vattene Abd-el-Kerim, non mi scorderò mai di te... basta!
Ella volse altrove la faccia e fece qualche passo. L’arabo l’afferrò per le mani e la rattenne violentemente.
— No, Fathma, no. Ti amo, sono tuo schiavo, fa di me quello che tu vuoi, ma non respingermi, non parlare così.
L’arabo cadde per la seconda alle sue ginocchia. Una fiamma umida passò sugli occhi dell’almea.
— È proprio vero adunque che tu mi ami? chiese ella, quasi con ferocia.
— Sì, ti amo, ti adoro.