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dava con due occhi che mandavano fiamme. Un urlo strozzato, furioso, partito fra gli alberi, lo fece saltar in piedi. Un freddo sudore gli bagnò la fronte.
— Chi è la? domandò egli con voce rotta.
Fathma che aveva ascoltata la confessione dell’arabo senza battere ciglio, nell’udire quell’urlo erasi voltata come una iena, col pugnale in mano.
— Chi ci spia? chiese ella rivolgendosi all’arabo.
— L’ignoro, rispose Abd-el-Kerim, armando la carabina.
Fra i cespugli si operò un movimento brusco, un corpo nerastro si slanciò dai rami di un gran tamarindo e cadde in mezzo alle erbe allontanandosi con rapidità fulminea. Abd-el-Kerim fece fuoco.
Nessun grido tenne dietro alla rumorosa detonazione della carabina; l’arabo fece atto di slanciarsi dietro a colui che fuggiva, ma Fathma lo arrestò.
— Era una scimmia, diss’ella. Non ne vale la pena.
— Mi parve un uomo; una scimmia non avrebbe gettato quel grido.
— Tanto peggio per lui. Io l’ho veduto cadere e a quest’ora sarà morto o sul punto di morire, disse l’almea con voce calma.
— Posso andare ad assicurarmi.
— Farai meglio a continuare la tua via.
— Fathma!....
— Ti comprendo tu vorresti ripetermi quella parola che cento altri prima di te mi ripeterono. Quella parola per me è morta; non ci credo più.
— Oh! non dire questo, Fathma! Ti amo, ti amo, ti amo e per te darei tutto il mio sangue. Mettimi alla prova: vuoi tu che ti porti la pelle di cento leoni? Non avrai che a comandarmelo e io, Abd-el-Kerim, te le porterò!
L’almea lo guardò con più dolcezza; un sospiro sollevò il suo seno.
— Ah! diss’ella con voce cupa. Sarebbe vero che tu avessi proprio ad amarmi? Sarebbe vero che tu parlassi col cuore? Anche un altro uomo un giorno