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rimprovero. Fa come vuoi; io ti aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.

L’arabo chinò il capo sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:

— Vo’ gettar la mia vita ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il luogo ove risuonava il tamburello.

Aveva la testa in fiamme e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il serpente viene attirato dal flauto dell’incantatore.

In breve tempo giunse in una vasta radura contornata da maestosi tamarindi sulle cui cime strillavano numerosi scimmiotti. Egli si fermò frenando a grande stento un grido di gioia.

Là, sulle rive di un ampio stagno cosparso di grandi foglie di loto sacro, se ne stava ritta l’almea col tamburello in mano, i capelli neri sciolti sulle spalle e una bianca farda gettata pittorescamente su di un braccio. Vista così, sotto una pioggia di raggi solari che si riflettevano sui monili e sui braccialetti d’oro che le cingevano il collo e le nude braccia, la si sarebbe presa per una apparizione celeste, per una urì del paradiso di Mohammed il profete.

Abd-el-Kerim sentì mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S’arrestò a pochi passi dall’almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti.

— Fathma!... Fathma! mormorò con voce tremante.

L’almea si volse verso di lui.

CAPITOLO V. — Il Rapitore.

Nel vedersi dinanzi Abd-el-Kerim, immobile come una statua, coi lineamenti sconvolti e le mani tese con gesto supplichevole, Fathma non potè trattenere