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In quell’istante Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente il turco che gli veniva dietro.
— Fermati, per mille demoni! esclamò egli con voce alterata.
— Che hai veduto? chiese Hassarn sorpreso.
— Zitto!...
In lontananza si udiva il suono del tamburello che l’eco delle foreste ripeteva distintamente. Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.
— Odi Hassarn? domandò egli con un filo di voce.
— Sì, che odo. Deve essere qualche arabo che suona il tamburello.
— No, non è un arabo! esclamò vivamente Abd-el-Kerim.
— Come lo sai tu?
— È una donna, io l’ho udito ancora questo tamburello, disse l’arabo con maggior animazione.
— Per Allàh! Andiamo a vedere, Abd-el-Kerim.
L’arabo lo afferrò vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.
— Tu non sai di quale donna io intenda parlare, gli disse.
— Parla di quella che vuoi, io vado innanzi.
— Quella che suona è Fathma!....
Il turco lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa.
— Hassarn, continuò Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò all’almea.
— Tu sei pazzo. Io voglio vedere Fathma.
— Hassarn, tu non lo farai, disse recisamente l’arabo.
— Ma disgraziato, e non pensi che sei promesso a Elenka.
— Io spezzo il nodo e mi getto corpo e anima fra le braccia di Fathma. Ho il sangue che mi brucia le vene e il cuore che batte per almea. Lasciami solo.
Il turco lo guardò con compassione.
— Tu ti perdi, Abd-el-Kerim, gli disse con dolce