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— Che hai? gli chiese Omar che s’era accorto di quell’improvviso cambiamento.

— Nulla, Omar, nulla, balbettò con voce soffocata lo sceicco. Dov’è Abd-el-Kerim?

— Eccolo, disse un guerriero.

Infatti l’arabo era improvvisamente apparso all’uscita della gola e s’avvicinava a spron battuto. Ma non era più lo spaventevole agonizzante di dieci giorni prima, privo di forze, ischeletrito, orrendamente deturpato e che incuteva ribrezzo.

Era ancora pallido, scarno, ma aveva ricuperato nel lasso di pochi giorni e la salute e le forze. Abù-el-Nèmr, avutolo in sua mano, gli aveva tagliati uno ad uno i tumori e strappati gli schifosi vermi che lo stremavano succhiandogli il sangue.

Egli giunse come una bomba fra i suoi amici, nel mentre che due guerrieri gettavano nel lago il cadavere di Notis con una pietra appesa al collo.

Tese le mani a Omar ed allo sceicco, poi si precipitò sul corpo dell’almea.

— Fathma! mia adorata Fathma! esclamò egli delirante.

Non seppe dire di più. La gioia di rivedere alfine l’infelice sua fidanzata, lo soffocava. Afferrò quel corpo ancora inanimato e lo coprì di baci e di lagrime.

Abù-el-Nèmr si nascose il volto fra le mani e un rauco singhiozzo gli rumoreggiò in fondo al petto. Una tremenda disperazione aveva improvvisamente scomposto i suoi lineamenti.

In quell’istante Fathma emise un profondo sospiro e si scosse. Abd-el-Kerim se la strinse teneramente al petto.

— Fathma! Fathma! ripetè egli.

L’almea aprì gli occhi, li chiuse, poi tornò a riaprirli. Un grido inesprimibile le uscì dalle labbra.

— Abd-el-Kerim!...

Si raddrizzò, gettò le braccia attorno al collo del fidanzato e scoppiò in singhiozzi.

— Dio!... Dio!... balbettò ella, fa che io non sogni!