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insanguinato dai colpi d’jatagan del furente cavaliere, andava rapido come una freccia, colla criniera al vento, le nari fumanti, gli occhi dilatati, gettando di quando in quando un sordo nitrito. Vi era da temere che soffocasse.

In venti minuti l’immenso campo del Mahdi fu attraversato, poi il cavallo slanciossi attraverso le pianure del sud-est sollevando nembi d’impalpabile sabbia.

— Vola! vola! gli urlava incessantemente il greco, tempestandolo di pugni. Bisogna che giunga in tempo di salvarla!

La via era diventata deserta. Qua e là si scorgevano qualche solitario palmizio e dei tumuli ornati di lapilli a svariati colori che formavano bellissimi disegni, e di armi, come lancie, archi, vecchi moschetti irruginiti e scudi. Il greco trasalì nel riconoscere delle tombe.

Erano le sette circa quando udì in distanza lo scalpitìo di parecchi cavalli.

— Eccoli! mormorò egli con intraducibile accento.

Il cavallo eccitato colla briglia e colla punta dell’jatagan raddoppiò la velocità ansimando furiosamente e raggiunse i piedi di una catena di colline che piegava verso il sud-est, dividendo per metà la deserta e sabbiosa pianura.

Il greco cacciò fuori una spaventevole bestemmia ed arrestò di colpo l’animale.

— Ira di Dio! Eccoli!

Dinanzi a lui, a un seicento metri di distanza, galoppavano dei guerrieri guidati da uno sceicco. In quest’ultimo Notis aveva riconosciuto Abù-el-Nèmr.

— Ah! cane! ruggì egli allungando le mani verso le fonde della sella dalle quali uscivano i calci di due pistole.

Per un istante ebbe la pazza idea di inseguire quei guerrieri e d’impegnare con essi una disperata pugna, ma la paura di avere la peggio lo trattenne. Gettò all’intorno uno sguardo crucciato e l’arrestò su di un negro che erasi levato dietro una montagnola di sabbia.

La Favorita del Mahdi. 26