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— Odimi, disse allo scièk. Io credo alla pergamena, ma lasciami due ore di tempo onde io parli collo sceicco Abù-el-Nèmr; poi ti cederò il prigioniero.
— Non ti accordo nemmeno cinque minuti. Ad Ahmed occorre sull’istante il greco.
— E se io mi opponessi colla forza?
— In tal caso mi recherò dal mudir (governatore della città), farò assalire il tuo tugul dalla guarnigione e uccidere tutti i tuoi guerrieri.
A quella minaccia, Omar si sentì mancare la forza di resistere oltre. Egli si trasse da un lato appoggiandosi alla parete per non cadere. Un sordo gemito gli uscì dalle labbra.
El-Mactud attraversò con un salto la soglia e si precipitò come bomba nella capanna. Là, su di un angareb disteso supino, col volto fra le mani, se ne stava il greco Notis. Al fracasso che fece lo sceicco entrando, scattò in piedi. Due grida rimbombarono.
— Notis!...
— El-Mactud!...
Bianco e negro si abbracciarono con effusione.
— Tu qui! esclamò il greco che stentava a credere di aver proprio dinanzi a sè lo sceicco. Ma come mai? Chi ti condusse? Sei forse prigioniero?
El-Mactud invece di rispondere, prese il suo jatagan e lo passò nella cintura dell’amico.
— Ma che vuol dire ciò? chiese Notis che non capiva assolutamente nulla.
— Ciò significa, amico mio, che tu sei libero.
— Libero!... Io libero!... Ma come!... Hai sbaragliato i guerrieri che mi custodivano, forse?
— Niente affatto; è Ahmed che ti ha graziato.
— Ah! l’eccellente uomo!
— Non dire così, Notis, disse gravemente lo scièk.
— Perchè?
— La tua grazia è costata la vita di una superba donna; Ahmed l’ha condannata all’annegamento nel lago Tscherkela.
— Una donna!... Una superba donna annegata!... Spiegati, El-Mactud, chi è questa donna?