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sieroso, gli chiese il capitano, incrociando le braccia sul petto con aria comica. È un bel pezzo che sono qui a guardarti, curioso di sapere come l’avresti finita.
— Ah! Sei tu, Hassarn? disse Abd-el-Kerim, ricomponendo la faccia tetra.
— In carne e in ossa, amico mio, rispose il capitano.
— Che vuoi da me?
— Che m’accompagni alle foreste del Bahr-el-Abiad per far ritornare quella compagnia di basci-bozuk, che abbiamo lasciato in un zeribah. Sono stati segnalati dei ribelli, e non vorrei che quei poveri diavoli venissero qualche notte massacrati.
— Ah!... Sono con te, Hassarn.
— Prendi la tua carabina e affrettiamoci a metterci in cammino. Viaggiare di notte in simili tempi non è prudente.
Abd-el-Kerim esitò, poi raccolse la carabina che aveva posata sulla palma e seguì senza dir sillaba Hassarn, che si era già messo in cammino. Si fermò venti volte prima di uscire dal campo, ora guardando il villaggio d’Hossanieh e precisamente la casupola di Fathma e ora la tenda del greco ermeticamente chiusa.
Il capitano dei basci-bozuk prese un sentiero aperto in mezzo a un campo di dùrah che conduceva alle grandi foreste del Bahr-el Abiad; Abd-el-Kerim gli si mise dietro, ma senza quasi sapere ove andasse e col pensiero fisso a tutt’altra cosa che alla compagnia dei basci-bozuk.
— Ehi! Abd-el-Kerim, gli chiese Hassarn, dopo qualche tratto di cammino. Che diavolo hai che sei muto più d’un pesce?
— Nulla, rispose l’interpellato seccamente.
— Penseresti, per caso, a quella bella ragazza che hai condotta questa notte nel campo?
Abd-el-Kerim trasalì e lo guardò sorpreso.
— Come sai tu questo?
— Bah! fe’ Hassarn, alzando un braccio come uomo