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nan la fronte nella polvere dinanzi a te, tutte le donne delle tribù che tu comandi sono tue. Fra esse ve ne son mille e mille più belle, più nobili, più forti di me, ve ne son mille e mille che andrebbero orgogliose dei tuoi baci, dei tuoi abbracci. Prendine una e lascia che io segua la stella che mi allontanò da te. Scava un abisso fra me e te, imponi silenzio al tuo amore: dimenticami.

— Dimenticarti?... Amare un’altra!... Perderti!... balbettò Ahmed. Perchè?... Non mi ami più adunque?... Fathma!...

L’almea si prese la testa fra le mani con gesto disperato. Chiuse gli occhi, poi li riaprì umidi di pianto.

— Ahmed, diss’ella con voce ancora più alterata, quasi commossa. Non tentarmi, che fra noi due tutto è finito. Un tempo ti ho amato, un tempo per te avrei dato tutto il mio sangue, avrei commesso persino dei delitti. Un giorno si operò in me un improvviso cangiamento. Sentii che il mio amore sfumava lentamente, sentii infine che non ti amava più. Lottai, te lo giuro, lottai strenuamente contro la nuova passione che s’era scatenata tremenda nel mio cuore. Piuttosto che contaminare la tua capanna, fuggii.

— Perchè? Con chi?

— Con un uomo che era tuo soldato e che mi aveva, mio malgrado, affascinata. Sei mesi dopo il mio amante moriva nella battaglia di Kadir. Mi mancò il coraggio di ritornare ai tuoi piedi e ripresi la mia errante carriera, trascinandomi di città in città, di villaggio in villaggio, allontanandomi sempre più da te. Io temeva la tua vendetta.

— Continua, sciagurata.

— Una notte, un prode arabo...

— No, un prode, di’ un vigliacco! interruppe Ahmed furibondo.

Fathma si raddrizzò quanto era alta, pallida, fremente, vibrandogli uno sguardo feroce.

— Taci, Ahmed, taci! diss’ella con voce strozzata. Non insultare gli eroi!...

— Continua!