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la sua mano, aveva un bel dire che Elenka aveva gli occhi neri e pieni di fuoco, che Elenka era bella, che Elenka era incomparabile, divina, ma non riusciva a scacciare nè a eclissare dalla sua mente le fiera figura dell’almea, nè sapeva cancellare, nè estirpare quegli occhi che in certo qual modo erano impressi vivamente nel suo cuore o che lo tormentavano come fossero due carboni accesi collocati sulle sue carni.

Invano cercava di frapporre fra sè e l’almea delle tenebre, invano ritorceva i suoi sguardi portandoli su Elenka, invano mormorava il caro nome della greca, invano sforzavasi di frenare i tumultuosi battiti del suo cuore, invano richiamava alla mente le sinistre e minacciose parole di Notis. Egli vedevasi sempre dinanzi la superba immagine dell’almea col fucile in mano, come l’aveva veduta in mezzo alla pianura puntare calma e terribile il leone che volteggiavale d’intorno; parevagli di sentirsela ancora fra le braccia col capo appoggiato dolcemente al suo petto, trasportato sul dorso del veloce mahari coi capelli neri e profumati attorcigliati al collo; parevagli di ascoltare il debole suo respiro, il battere del suo cuoricino, il fremito delle sue membra, e provava emozioni violente, sconosciute, ignote, voluttuose, e sentivasi il sangue turbinare più rapido nelle vene, un fuoco strano accendersegli nel petto, fuoco che mettevagli la febbre indosso, fuoco che prendeva proporzioni gigantesche, che divorava e la memoria di Elenka e quella di Notis.

— Fathma! Fathma! mormorò egli sospirando. Tu hai fatto nascere nel mio cuore una passione che cancellerà quella della povera Elenka! Una passione che mi mette paura, una passione che mi fa tremare!...

Si levò dal tronco d’albero girando uno sguardo indagatore sul campo come se cercasse di scoprire colei che avevagli acceso in petto una scintilla d’un amore sconfinato. I suoi occhi si fissarono su d’un uomo, un capitano dei basci-bozuk, che lo guardava sorridendo quasi beffardamente.

— Olà, che diamine le fai qui, solo soletto e pen-